Quinto : “Non Uccidere”

Dal momento che, come Chiesa, consideriamo moralmente illegittima la pena di morte comminata alla persona umana “innocente”, ma, moralmente legittima quando è comminata a quella “colpevole”, perché, poi, dissentiamo per la condanna a morte di Saddam Hussein, benché questi sia accusato, non di un omicidio, ma di crimini contro l’umanità?

Certamente non perché lo reputiamo innocente, e allora perché, se il Catechismo della Chiesa Cattolica riconosce all’autorità pubblica questo potere ?

Cosi facendo, avalliamo contemporaneamente, due posizioni dottrinali che si oppongono a vicenda : Quella di concedere all’autorità pubblica il potere di impartirla, infatti : << L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e delle responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte >>  ( Nuovo Catechismo n° 2267 ) e quella di vietarla :  <<Perché ogni persona è creatura di Dio e quindi nessuno può ritenersi padrone della vita e della morte altrui se non il creatore, princìpio universale al quale non ci sono eccezioni >> ( Pronunciamento ufficiale del Vaticano contro la pena di morte a Saddam, 21/07/06 ).

Con il catechismo, dunque, educhiamo le coscienze al principio di liceità morale della pena di morte e, con i proclami autorevoli e pubblici, come nel caso citato, le ammoniamo ( le coscienze ) quando queste, poi, ne praticano l’insegnamento.

Questa discordanza si verifica, a mio avviso, perché, noi cattolici, abbiamo riconosciuto al principio della pena di morte una legalità morale che non le avremmo mai dovuto riconoscere.

Condizionati dagli eventi storici, alla fine del quarto secolo, abbiamo, purtroppo, abbandonato la nostra dottrina originaria che l’aborriva, e, contravvenendo all’esortazione del Vangelo, ci siamo conformati a quella dell’Impero Romano (Rm.12,2), avendoci esso inglobati dopo averci riconosciuto la libertà religiosa.

In tal modo, ci siamo assunti la responsabilità di conferire alla pena di morte un imprimatur morale e una  legittimità sociale universale, che essa non aveva mai raggiunto prima.

In pratica, non solo l’abbiamo avallata, ma abbiamo favorito lo sviluppo culturale di una legge penale mostruosa, che non solo, non avremmo dovuto, ma nemmeno potuto legittimare, essendo essa, assolutamente contraria allo Spirito del Vangelo e alla Tradizione originaria della Chiesa.

Anzi, è proprio servendosi di essa che i potenti di questo mondo hanno assassinato “legalmente” Gesù ( 1 Cor.2,8 ) e trafitto con la spada del dolore il cuore della Madre ( Lc. 2,35 ).

Del resto, le motivazioni che, noi cattolici, portiamo a sostegno della liceità morale della pena capitale sono solo di natura filosofica o di ordine pratico, ma per niente evangeliche.

Gesù, invece, nel traghettarela Leggeda Antica a Nuova e da imperfetta a perfetta, ha per prima cosa abolito la  legge del taglione (Dt. 19,21 ; Mt. 5,38 ) che la legittimava e riconferito al quinto comandamento : “ Non uccidere “ il suo valore originario, essendo stato deturpato dalla durezza dei cuori e dal legalismo ebraico.

Egli, infatti, afferma: “ Avete inteso che fu detto agli antichi :  Non uccidere; infatti chi uccide è sottoposto a giudizio” ( Mt. 5,21 ), e dichiara solennemente, come Colui che interpetrando la LeggeAnticarivendica un ‘ autorità  superiore alla legge medesima : “ Io invece, vi dico : chiunque si adira con il suo fratello sarà sottoposto a giudizio “ ( Mt. 5, 22 ). 

Le parole : “ Io invece vi dico “, rivelano, chiaramente, il suo carattere autoritativo di nuovo e definitivo Legislatore della Nuova Legge perfetta, nella quale, non solo Egli non tollererà, assolutamente, l’uccisione volontaria di una persona umana, ma nemmeno la violenza verbale o psicologica o il semplice moto d’ira che Lui pone sullo stesso piano dell’omicidio ( Mt. 5,22 ).

Perciò, noi sua Chiesa, non possiamo agire diversamente, da come Lui ha agito, ma solo : “ Continuare sotto la Guidadello Spirito Santo, l’opera stessa di Cristo, il  quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito “ (  Gaudium et Spes N° 3 ).

La Chiesa, per la sua natura divina, non è paragonabile a nessuna istituzione umana, che guidate

dall’ etica, ossia, dalla cultura mondana, dicono “ si “ e “ no “ alla dignità e al valore della vita umana. Noi cattolici guidati, invece, dalla morale, ossia, dal Vangelo applicato alla vita, non possiamo dire “ si “ e “ no “ ( Mt. 5,37 ; Gc. 5,12 ), ma solo “ si “. Si ad una difesa “ assoluta “ e non “ relativa “ della  sacralità e dell’inviolabilità della vita umana, che, indipendentemente dalla condizione di innocenza o colpevolezza della persona, va dal suo concepimento alla morte naturale.   

 

                                                                                                         diacono Giuseppe Cavallaro

 

 

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Imitiamo gli ebrei, deponiamo, anche noi cattolici, la pietra della pena di morte.

Si afferma che nel Vangelo non vi sono elementi certi che fanno escludere moralmente la pena di morte. Ammesso, e non concesso, che ciò sia vero, io mi domando, è questa una ragione sufficiente, che ci autorizza, come Chiesa , ossia, come istituzione universale voluta da Cristo per educare le coscienze umane alla tolleranza e alla solidarietà, a giustificarla e a legittimarla moralmente?

Se il Vangelo non la esclude, esplicitamente, è solo perché dà per scontato che essa è sempre da aborrire.

Tutto, lo Spirito del Vangelo, dal primo versetto di Matteo all’ultimo versetto dell’Apocalisse, la considera incompatibile con il pensiero di Gesù, il quale non solo condanna l’uccisione volontaria : “ Non uccidere “ ( Mt. 19,18 ), ma, anche, il solo moto d’ira consistente nel desiderio di vendetta ( Mt. 5, 21-22 ).

La legge del taglione, che nell’Antico Testamento la legittimava ( Dt. 19,21 ), è stata da Gesù, definitivamente, revocata e sostituita con la legge del perdono, la quale, per noi cristiani, è una legge obbligatoria e non facoltativa ( Mt. 6, 15 ). Come possiamo, noi suoi discepoli, rilegittimare una dottrina che Lui ha delegittimata e sottovalutare il suo imperativo, a superare il livello di giustizia osservata dagli scribi e dai farisei ( Mt. 5,20 ) ?

Questa linea dottrinale è, decisamente, attestata anche dalla Tradizione originaria della Chiesa, la quale essendo più vicina all’insegnamento di Cristo e degli Apostoli è immune da ogni influenza del potere romano.  

Il racconto storico della donna adultera, riportato dal Vangelo di Giovanni, potrebbe essere, a mio parere, uno degli esempi, in cui lo Spirito di Gesù, sia pure implicitamente, condanna la pena di morte.

“ Allora, gli scribi e i farisei gli conducono ( a Gesù ) una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono : Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici ? Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi “ ( Gv. 8,3-9 ).

Al di là delle loro intenzioni ipocrite, gli scribi e i farisei, presentano all’attenzione di Gesù, un vero caso di cronaca giudiziaria, un caso penale, per il quale la legge prevedeva la pena di morte, e lo invitano ad esternare il suo pensiero in proposito. Cosa che farà, avvalendosi del contributo testimoniale dei suoi nemici.

La loro domanda, quindi, riveste grande importanza al fine di conoscere la sua volontà in merito alla liceità o meno di quella  condanna a morte e, naturalmente, della pena capitale in genere, in quanto, ci ottiene la risposta di Gesù, che provoca negli accusatori della donna, un preciso comportamento che equivale alla spiegazione pratica del suo pensiero morale. Essi, infatti, sentita la risposta, la interpretano alla luce della Scrittura, e la spiegano a noi, non con le  parole, ma con la mimica della loro testimonianza. In effetti, con il loro comportamento esplicitano, perfettamente, la sua volontà, implicitamente, contenuta nella risposta.

Il loro agire, più eloquente di cento spiegazioni, svela, decisamente, l’opposizione di Gesù  per quella richiesta di condanna a morte : Egli non riconosce ad essi nessun diritto a utilizzare la morte come strumento di punizione morale e sociale.

Questo, e solo questo, essi esprimono con la loro testimonianza, agendo esattamente come Lui voleva che agissero, affinché, anche noi cattolici, osservando il loro agire, comprendessimo bene il suo pensiero e, di conseguenza, agissimo imitandoli.   

Con le parole: “ Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei “, ossia, chi di voi è senza peccato, esegua pure la condanna a morte, Gesù risponde alla maniera dei rabbini, i quali, direttamente o indirettamente, si appellavano sempre all’autorità della Scrittura.

E gli scribi e farisei, che la conoscevano bene, sapevano che Essa insegna che non esistono al mondo persone senza peccato ( Qo. 7,20 ; 1 Gv. 1,8-10 ) e quindi persone in diritto di tirare la pietra.

Il loro comportamento, di assoluta resa, conferma esattamente questa interpretazione. Se essi rinunciarono al loro proposito di punire la donna con la pena di morte, fu solo a seguito delle sue parole, con le quali obbligò le loro coscienze di credenti a confrontarsi conla Scritturache, appunto, li confermava peccatori.

Inoltre, Egli non si limita a negare ad essi questo diritto, ma rivela il criterio che, per il futuro, dovrà guidare i discepoli  alla verità : dovrà essere quello di peccato e non più di reato, criterio da sempre adottato dal mondo e dai potenti che lo dominano.

Egli non disse, agli scribi e farisei :  Chi di voi non ha mai commesso il reato di adulterio scagli per primo la pietra contro di lei, ma : “ Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei “. E, alla donna da Lui sottratta alla lapidazione, non disse : Và e d’ora in poi non commettere più reato di adulterio, ma : “ Và  e d’ora in poi non peccare più “ ( Gv. 8,11 ).

La scrittura, infatti, distingue il peccato dagli atti peccaminosi, senza tuttavia diminuire la gravità di questi ultimi.

Essa menziona, espressamente, ad un atto interno da cui il reato procede : “ Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi cattivi : prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dal di dentro e contaminano l’uomo “ ( Mc. 7, 21-23 ).

Quindi, le parole di Gesù non hanno carattere obbligatorio solo per la coscienza degli ebrei e facoltativo per quella dei cattolici. Esse, rivelano una verità morale oggettiva, ossia, una verità perenne e universale : tutti gli uomini sono peccatori, nessuno escluso, pertanto, a nessuno di essi Dio ha conferito il diritto di tirare la pietra della pena di morte.

Mentre la nostra dottrina cattolica consentendo, in linea di principio, al potere pubblico il diritto morale di poterla tirare, su coloro che esso considera colpevoli di, determinati reati, si discosta, totalmente, da questa verità oggettiva e, di fatto, conferisce più valore alla legge umana che alla vita umana.

Il Vangelo esorta, esplicitamente, i cattolici a non conformare il loro atteggiamento all’agire di questo mondo ( Rm. 12,2 ), che Cristo è venuto, appunto, a convertire dalle sue opere malvagie, tra le quali va, certamente, annoverata la pena di morte, di cui esso da sempre ne è il detentore.

E proprio con essa, i potenti del mondo, crocifissero Gesù ( 1 Cor. 2,8 ), per non sentirlo più parlare di tolleranza e perdono.

E sempre con la pena di morte che, uccidendogli crudelmente il Figlio, trafissero il cuore di Maria, con la spada del dolore, preannunciata dallo Spirito Santo per bocca del profeta Simeone(Lc. 2,35 ).

Perciò, il Vangelo, oltre che esortarci a distinguere, nettamente, il nostro operato da quello esercitato dai dominatori di questo mondo, ci invita, pressantemente, a rinnovarci nelle coscienze al fine di realizzare l’ideale evangelico, che consiste, essenzialmente, nel distinguere sempre la volontà di Dio da quella del mondo e di compiere solo ciò che a Lui è gradito ( Rm. 12,2 ).    

 

                                                                                                         diacono Giuseppe Cavallaro

 

 

 

 

 

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A Sua Santità Giovanni Paolo II

Oggetto: Obiezione di coscienza nei confronti dell’articolo N° 2267 del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, mediante il qualela Chiesariconosce, in linea di principio, al potere pubblico la legittimità morale di applicare la pena di morte.

 

Che il mondo creda nella legittimità della pena di morte è comprensibile, esso vi credeva gia prima della venuta di Cristo.

E’ invece incomprensibile che vi credala Chiesa, la quale non solo non lo ha confutato ma si è conformata alla sua dottrina.

Essa, così facendo, ha concesso il suo imprimatur morale a questa legge umana violenta e vendicativa, favorendone, con la sua immensa influenza, lo sviluppo e il consolidamento nelle coscienze umane e in particolare di coloro che detengono il potere in questo mondo.

Inoltre, in quest’occasione,la Chiesanon ha deposto a favore di una devozione integrale versola Madredi Gesù, di cui essa ne è figura testimoniale.

Maria, infatti è perla Tradizioneela Mariologia, il rifugio certo di tutti i peccatori, ossia, di tutti coloro che violano la legge anche in modo grave, per cui anche se negli uomini abbonda il peccato in Maria sovrabbonda sempre la misericordia di Dio ( Rm. 5,20 ).                                                                                    

Tale principio è,perciò, assolutamente contrario all’ordine morale, ai diritti umani fondamentali, allo Spirito del Vangelo e alla Tradizione Antica della Chiesa Cattolica, la quale è stata istituita da Cristo stesso e affidata a Pietro e ai suoi successori, primariamente, per formare le coscienze umane alla verità tutta intera ( Gv. 16,13 ), per cui ogni sua conformazione alla logica di questo mondo (  Rm.12,2 ), come nel caso in oggetto,   rappresenta un arretramento allo sviluppo del Regno di Dio e alla sua giustizia ( Mt. 6,33 ).

Pertanto, nell’esercitare questo mio diritto-dovere di OBIETTORE DI COSCIENZA nei confronti dell’articolo prescritto al N° 2267 del NUOVO CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, con il quale in linea di principiola Chiesariconosce LEGITTIMALA PENA DIMORTE esercitata dal potere pubblico, sottopongo me stesso, il mio ministero e l’iniziativa medesima alla suprema autorità del papa, al quale professo tutta la mia fede nel suo ministero di supremo pastore della Chiesa Universale.

11/02/05                                                                      diac. Giuseppe Cavallaro

 

 

 

 

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A Sua Santità Giovanni Paolo II

Beatissimo Padre,

vorremmo umilmente sottoporre alla vostra paterna attenzione questa riflessione relativa alla pena capitale.

Noi riteniamo che la pena di morte, inflitta a persone già assicurate alla giustizia, oltre che non rispondente al grado di civiltà  raggiunto dalle moderne democrazie, sia essenzialmente immorale perché contraria alla volontà di Dio.

La morte non è stata voluta nè, tantomeno, creata da Dio (Sp. 1,13) avendo Egli  creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gn. 1,27), ossia, immortale (Sp. 2,23). 

La Scritturaafferma, infatti, che: “La morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” (Sp. 2,24) e che: “Il pungiglione della morte è il peccato” (1 Cor. 15,56). Ci rivela, perciò, sia il vero autore della morte: “il diavolo”, sia l’arma da lui usata per uccidere le persone umane create da Dio: “il peccato”, sia il movente per cui le uccide: “l’invidia”.

Come la vita è stata creata da Dio e rappresenta la massima espressione del suo amore per le creature umane, cosi la morte è stata generata dal diavolo e manifesta tutto l’odio che questi nutre nei confronti del creatore e delle creature umane da Lui chiamate all’esistenza.

Vita e morte sono due realtà, tra loro inconciliabili e avverse, generate da due differenti sorgenti, identificabili, la prima  con il bene e la seconda con il male,due realtà diverse e contrapposte, sempre in lotta tra di loro, al punto che la morte è definita dalla  Scrittura : “la nemica di Dio” (1Cor. 15,26) e in quanto tale, Dio alla fine dei tempi, la distruggerà (Is. 25,8) ; (Ap. 21,4).

Pertanto, essendo la morte un potere che può esercitare solamente il diavolo (Eb. 2,14), è assurdo considerarla una realtà legalmente morale, uno strumento lecito per amministrare la giustizia penale, e, nel contempo, professare pacificamente la fede in colui che, invece, dichiara in assoluta opposizione alla morte:”Io sono la vita” (Gv. 14,6).

La morte,  per il fatto di essere, ontologicamente, legata al demonio, che l’ ha generata, resta indissolubilmente legata al male. La sua natura malefica, perciò, è immodificabile e niente al mondo può variare questo dato di fatto morale.

La morte sta al diavolo come il frutto  al suo albero, e noi  sappiamo con certezza  che un frutto non  può mai essere buono se l’albero che lo genera ha una natura velenosa (Mt. 12,33) ;  (Lc. 6,43).

Quandola  Scritturaafferma che : “La morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” (Sp. 2,24), intende, appunto, avvertire i credenti  circa la sua provenienza e, perciò, a non lasciarsi mai ingannare da essa, assecondandola o peggio, utilizzandola  come strumento penale per far morire le persone umane già assicurate alla giustizia.

Da un confronto con il N.T. emerge, chiaramente, come essa sia contraria allo Spirito del Vangelo, il quale, invece, impone  ai credenti di abbandonare, decisamente, ogni forma di compromesso tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra Cristo e il demonio (2 Cor. 6,14-15), e di acquisire, secondo il pensiero di Gesù, un nuovo concetto della giustizia, più alto e nobile, un concetto di giustizia superiore a quello insegnato dall’A.T. (Mt 5,20), che considerava, appunto, moralmente legittima la pena di morte (Es. 21,23).

Se il N.T. attesta  che:” quando il peccato  è consumato produce la morte” (Gc. 1,15), lo fa per ricordarci la connessione sempre esistente tra la causa e il suo effetto, tra il peccato e la morte e che, perciò, per produrre deliberatamente la morte di una persona umana, è necessario prima consumare il peccato, cioè, compromettersi con esso, che ne è il pungiglione (1 Cor. 15,56). La morte, essendo “la nemica di Dio”, per configurarsi ha sempre bisogno di ricorrere al  veleno  prodotto dal peccato. Ecco perché, la resurrezione di Gesù, rappresenta la massima testimonianza di questa verità di fede: la morte su di Lui non ha potuto accampare alcun diritto, non ha avuto alcun potere,appunto, perché  Egli, in tutto il tempo della sua vita terrena non si è mai compromesso con il peccato. (Eb. 4,15).

Quindi chi, deliberatamente, opta  per la morte legalizzata, ne deve accettare, implicitamente, anche le condizioni che contestualmente, la rendono  possibile, ossia, il compromesso con il diavolo che, solo, ha il  potere per generarla (Eb. 2,14) e la consumazione del peccato, il quale con il suo veleno la rende tragicamente concreta (1Cor. 15,56 ; Rm. 5,12).

Perciò, ogni volta che la si favorisce o la si provoca, volontariamente, non solo  si va contro il volere di Dio, essendo Egli: ”l’autore della vita” (At. 3,15), ma si passa a  cooperare, attivamente,  con colui che l’ha generata e chela  Scritturaha etichettato “omicida fin da principio” (Gv. 8,44).

E’ questa la ragione per la quale Dio ha formulato il comando: “Non uccidere” (Es. 20,13) ; (Dt. 5,17) in termini negativi. Lo ha fatto al preciso scopo, di  vietare all’uomo, in forma  assoluta  e non relativa, l’uccisione volontaria della persona umana. Lo ha fatto per vietargli, a priori, ogni possibilità di modificare, scavalcare o raggirare il quinto comandamento.

Leggiamo, invece, al numero 2261 del N.C. della Chiesa Cattolica che: “La Scrittura precisa la proibizione del quinto Comandamento: << Non far morire l’ innocente e il giusto>> ( Es. 23,7). Quindi, secondo il N.C., con questo versetto,la Scrittura preciserebbe la categoria di persone a cui è indirizzata la proibizione del quinto comandamento, ossia, preciserebbe che Dio vieta di uccidere e, naturalmente, di comminare la pena di morte esclusivamente alle persone ritenute “innocenti” dalla legge umana, ma non a  quelle ritenute colpevoli.

Tale interpretazione, di fatto, provoca un trasferimento del divieto “assoluto” di uccidere, dalla proposizione:”Non uccidere” ( Es. 20,13), la quale vieta, sia l’uccisione delle persone innocenti che di quelle colpevoli, alla proposizione: “Non far morire l’innocente e il giusto” ( Es. 23,7), che, invece, in modo “assoluto”, vieta  solo l’uccisione delle persone innocenti, mentre implicitamente consente, come di fatto avviene, l’uccisione delle persone ritenute colpevoli dalla legge morale umana.

In realtà, la proposizione:”Non far morire l’innocente e il giusto” (Es. 23,7) non ha affatto lo scopo di precisare quali siano e quali non siano i soggetti morali a cui è diretta  la proibizione del quinto comandamento: “Non uccidere” ma, piuttosto, di evidenziare il corretto comportamento morale che devono assumere i soggetti giuridici nell’ambito di un processo penale. E ciò si rileva, chiaramente, sia leggendo il passo, Es. 23,7, per intero: “Starai  lontano dalla parola falsa e non ucciderai l’innocente e il giusto perché io non dichiaro giusto il colpevole”  che leggendo  il versetto precedente: “Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo” (Es. 23,6).

In pratica, il versetto:”Non far morire l’innocente e il giusto” (Es. 23,7), non ha la finalità di precisare a quali soggetti è indirizzato il quinto comandamento, ma di sottolineare che Dio vieta, categoricamente, ai giudici e ai  testimoni, di  ricorrere a parole false per deviare il corso della giustizia e provocare la condanna dell’innocente e l’assoluzione del colpevole.

Sul Sinai, infatti, per formulare il quinto comandamento, Dio non ha utilizzato la proposizione :”Non uccidere l’innocente” ma ha formulato la proposizione:”Non uccidere” (Es. 20,13), che è poi, la medesima utilizzata dagli Apostoli nel N.T.(Mt. 19,18 ; Mc. 10,19 ; Gc. 2,11). 

E Gesù, con il N.T. ha preso, decisamente, posizione contro la pena di morte (Mt. 5,21-22), legge vendicativa e crudele che, nel nome di una giustizia e di una religione senza misericordia, ha causato un infinito numero di vittime innocenti ( Mt. 12,7 ). A coloro che un giorno lo interrogarono per  conoscere, appunto, il suo pensiero, circa la liceità o meno di un’esecuzione capitale che essi erano intenzionati ad eseguire, esecuzione avallata, tra l’altro, dalla flagranza di reato e legalizzata dalla legge del suo tempo, egli rispose, ironicamente, che tale sentenza l’avrebbero potuta eseguire solo coloro che non avevano mai peccato, vale a dire: nessuno.La S. Scrittura, infatti, attesta chiaramente, che non esistono al mondo persone senza peccati (Qo. 7,20 ; 1Gv. 1,8-10). E i suoi interlocutori, resi da Lui coscienti, circa questa fondamentale verità morale, accolsero la sua lezione e, uno dopo l’altro, abbandonarono il  proposito omicida e andarono via (Gv. 8,3-11).

Egli, dunque, con la sua risposta chiarisce innanzitutto, che il problema della liceità o meno della pena di morte, prima ancora di essere un problema  di natura legale, politica o sociale è un problema di natura morale, quindi, per quanto autorevoli e valide possano essere le ragioni etiche addotte dal mondo, non possono mai prevalere su quelle morali insegnate e fissate da Cristo. Con le sue parole, Egli, implicitamente, pone in risalto il rapporto di  corresponsabilità umana e universale che, a causa sia del peccato originale che dei  peccati personali, intercorre fra tutte le creature umane, nessuna esclusa. Perciò, come per i suoi interlocutori, nessuna persona al mondo può presumere di essere da Lui autorizzato a  favorire, emettere o eseguire una sentenza capitale perché nessuna persona al mondo potrà mai possedere i  requisiti morali da lui richiesti (Gv.8,7).

La Chiesanei primi quattro secoli  aborriva la pena capitale (Concilio di Elvira, can.56; De idolatria cap.17; Minucio Felice-Octavius,5; Canoni di Ippolito II,16) e non solo perché essa stessa la subiva e la sperimentava, direttamente nella propria carne, ma perché la pena di morte era stata sanzionata ed eseguita su Gesù stesso, su Colui che rappresentava l’innocenza e la giustizia fatta carne .

Quell’esecuzione capitale, alla luce della fede, non poteva considerarsi alla stregua delle altre esecuzioni capitali, in cui la legge umana commette un errore giudiziario e sopprime una persona innocente. Quella particolare esecuzione rappresentava, e nel contempo decretava, il giudizio e la condanna morale della pena medesima. Gesù, non era solo un uomo, ma anche il Cristo, per cui,  in quell’occasione, come per tutte le problematiche umane, fino alla fine dei tempi, Egli rappresenterà sempre, per tutto il genere umano, il solo e unico metro di giudizio, con il quale confrontarsi e misurare ogni problema umano.

L’esecuzione capitale di Gesù dimostra l’assurdità della legge penale capitale. Essa che non è stata capace di risparmiare la vita all’unico uomo, innocente e giusto in assoluto, che abbia messo piede su questo mondo, come potrebbe, poi, nei nostri confronti, essere meno ingiusta e disumana, dal momento che la nostra innocenza è sempre espressa all’insegna della relatività? Insomma, se essa, come strumento penale è servito per trattare cosi Colui che rappresenta il legno verde dell’umanità, come tratterà noi che rappresentiamo i rami secchi del genere umano (Lc. 23,31)? Oltretutto, Gesù non si era limitato a vietare ai suoi discepoli di “non uccidere”, ma aveva comandato ad essi di resuscitare i morti (Mt. 10,8).

E poi, come non cogliere, dietro l’evolversi degli  eventi che portarono alla sua condanna a morte,  l’invisibile regia del demonio, il quale, uscito sconfitto dallo scontro avuto con Lui nel deserto, non rinunciò mai al proposito di chiudergli la bocca e,”nel tempo fissato” (Lc. 4,12),cioè, appena gli si sarebbe presentata l’occasione, come di fatto avvenne, egli tornò nuovamente all’attacco e  questa volta riuscì nel suo intento omicida.

Per queste e altre ragioni, quindi,la  Chiesaaborriva la pena di morte. Ancora nel 382, essendo papa Damaso, i canoni del sinodo romano ai vescovi della Gallia (PL,13,1181ss-al cap. 5, n.13) dichiarano che non possono essere immuni da peccato i funzionari civili che “hanno emesso condanne a morte”.

Perciò, solo successivamente, in seguito alla sua integrazione con l’Impero Romano,la Chiesa,  cominciò a considerarla favorevolmente fino a giungere al suo esplicito riconoscimento dottrinale che avvenne nel 1208 con papa Innocenzo III, il quale dichiarò contro i valdesi che: “Riguardo al potere civile, affermiamo che si può esercitare il diritto penale capitale”.

Tuttavia, l’atteggiamento critico che, in alcune occasioni particolari, di quando in quando,la Chiesa, pubblicamente, ha assunto nei confronti della pena di morte, lo si potrebbe interpretare come una volontà a voler nuovamente ritornare alla dottrina dei primi quattro secoli, in cui essa proibiva la pena di morte e riteneva la vita umana, sia dell’innocente che del colpevole, assolutamente, sacra e inviolabile.

La Chiesa, madre e maestra, è stata posta da Cristo come guida, insostituibile, dell’umanità, per cui, essa non può lasciarsi superare dalla società laica, come si è già purtroppo verificato in qualche importante appuntamento con la storia. E’ necessario ritornare alla dottrina delle origini poiché: “la comunità primitiva ha valore esemplare per ogni periodo di rinnovamento e di crescita nella vita ecclesiale” (Ev. e Min. n. 43).

In forza del battesimo e dell’appartenenza alla Chiesa affidiamo a Voi Santità quest’iniziativa e la poniamo sotto la Vostra speciale protezione.

Chiediamo, filialmente, che la Chiesasi adoperi per la  proscrizione morale della pena di morte, la elimini dal Nuovo Catechismo e la bandisca definitivamente dalla dottrina cristiana, affinché nessun giudice, legislatore, responsabile di governo, uomo politico o religioso possa più legittimarla e trovare giustificazione per la propria coscienza.

                                                                                                  Filialmente ringrazio

7 ottobre 2001                                                                       diac. Giuseppe Cavallaro

 

 

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Il perché della contrarietà all’ Art. n° 2267 del Catechismo della Chiesa.

Mi chiamo Giuseppe Cavallaro e sono un Diacono permanente della Chiesa di Napoli, ordinato

dal Card. Corrado Ursi il 7 Ottobre 1981.

A mio avviso, il principio di liceità morale che, come Chiesa Cattolica, riconosciamo all’autorità pubblica di comminare la pena di morte, a persone ritenute colpevoli dalla legge umana e assicurate alla giustizia penale, è contrario sia allo Spirito del Vangelo che alla Tradizione originaria della Chiesa, la quale fino al quarto secolo l’ha, decisamente, aborrita.

Se la morte è considerata dalla Scrittura :  la nemica di Dio  ( 1Cor. 15,26 ), non può che essere considerata tale anche dalla Chiesa, la quale nasce, proprio, dalla Resurrezione di Cristo, ossia, dalla vittoria della vita sulla morte.

Che vi creda il mondo nella liceità etica della  morte, utilizzata come strumento giudiziario penale, è “comprensibile”, esso vi ha sempre creduto, sia prima che dopo la venuta di Cristo, ma che vi credala Chiesa, nella liceità morale del principio penale capitale è “incomprensibile” dal momento che essa è stata istituita da Cristo, proprio, per convertirlo dalla sua cultura di vendetta e di morte.

Essa sa bene che: “ la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” ( Sp. 2,24 ) e che lui solo  ha il potere di generarla  ( Eb. 2,14). Dietro la morte vi è, dunque, sempre il male, il peccato. Perciò il Vangelo ci avverte che : “ Il peccato è il  pungiglione della morte “ ( 1Cor. 15,56 ). Se dunque vi è una relazione indissolubile tra il peccato e la morte, come si può negare che vi sia, altresì, una relazione altrettanto indissolubile tra la morte e il peccato? Come il peccato genera morte, così la morte genera, il peccato.

La vita umana è sempre sacra e inviolabile anche quella di chi ha trasgredito gravemente la legge umana perché essa non ci viene dalle creature ma dal Creatore, che essendo immutabile nella sua divinità, dona la vita senza mai pentirsi ( Rm. 11,29 ). Per cui quando si emette una sentenza capitale per una persona umana già assicurata alla giustizia penale, non si può, nè si deve parlare di “ Giustizia “, ma di vendetta, omicidio di stato, trasgressione del quinto Comandamento, violazione della Legge di Dio.

Dio non ha detto di “Non uccidere l’innocente”, ma di :”Non uccidere” ( Es. 20,13 ; Dt. 5,17 ), punto e basta, come attesta tutto il Nuovo testamento ( Mt 19,18 ; Mc. 10,19 ; Rm. 13,9 ; Gc. 2,11 ).  Il  comando formulato in termini negativi ha valore “ assoluto “ e non “ relativo “, non ammette obiezioni, eccezioni e nè, tanto meno, precisazioni di sorta, come noi, invece, asseriamo al N° 2261 del nel Nuovo Catechismo : “ La Scrittura precisa la proibizione del quinto comandamento : << Non far morire l’ innocente e il giusto>> ( Es. 23,7 )“. In realtà questa proposizione ( Es. 23,7 ) non ha lo scopo di “ precisare “, quali siano e quali non siano, i soggetti morali a cui è rivolto il comandamento : “ Non uccidere “ , ma di evidenziare il corretto comportamento che devono assumere testimoni e giudici nell’ambito di un processo penale.

Nessuna legge umana può presumere di prevalere sulla Legge Divina senza che,di fatto, provochi un arretramento del  Regno di Dio, un offuscamento delle coscienze umane e un regresso dello sviluppo integrale della persona, la cui dignità, come insegna lo stesso magistero, deve essere salvaguardata : “ Dal suo concepimento alla morte naturale”, la quale sopraggiunge solo per malattie e vecchiaia.

 

 

Per queste, ed altre, personali convinzioni, dopo la pubblicazione del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, nel 1994, inviai al papa, unitamente ad una petizione di 490 firme, una lettera in cui chiedevo di escludere dal N. C. ogni forma di adesione alla pena di morte.

Il numero di 490 non fu casuale ma in relazione alla risposta che Gesù indirizzò a Pietro, il quale avendogli chiesto se era sufficiente perdonare fino a sette volte a chi sbaglia, Gesù gli rispose : “ Non ti dico fino a sette ma settanta volte sette “ ( Mt. 18,22 ) , che nel linguaggio evangelico equivale all’obbligo di dover perdonare sempre.

Il perdono cristiano, che non consiste affatto, nella rinuncia ad educare con fermezza e responsabilità e punire, con certezza di pena, chi viola le leggi civili e soprattutto penali, ma astenersi dalla vendetta, la cui espressione massima si rivela, appunto, nella pena di morte.

 Il perdono cristiano non è per noi, Chiesa, una condizione morale facoltativa, ma obbligatoria, per entrare nella salvezza ( Mt. 6,14-15 ).

E poiché questa iniziativa non approdò a nessun risultato, se non quello di essere convocato dal Vescovo ausiliare, come avviene, generalmente, in questi casi, il 7 Ottobre del 2001 decisi, di inviare al papa una ulteriore raccolta di firme, circa 2000, unitamente ad una breve relazione ( che accludo ).

E anche questa volta fui convocato dal nuovoVescovo ausiliare, il quale dopo avermi rivolto alcune domande, circa la mia iniziativa, mi congedò cordialmente.

Per cui, anche questa seconda iniziativa non produsse alcun risultato positivo.

Decisi allora di compiere un ulteriore passo : inviare al papa una lettera in cui esercitavo, ufficialmente, il diritto –dovere di obiezione di coscienza, nei confronti dell’art. 2267 del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui si riconosce, in linea di principio, al potere pubblico la legittimità morale di esercitare la pena di morte, cosa che ho fatto nel febbraio 2005 ( che accludo ).

 

Tengo a precisare, come si può rilevare anche dalla documentazione acclusa, che questa mia iniziativa, affidata completamente all’autorità del papa, l’ho promossa solo nella speranza di suscitare all’interno alla Chiesa, a cui mi onoro di appartenere, una riflessione circa questa dottrina che, a mio parere, ci deriva da una sorta di conformazione alla cultura del mondo, cosa decisamente disapprovata dal Vangelo ( Rm. 12,2 ).La Chiesa, infatti, ha iniziato a considerare, favorevolmente, la dottrina sulla pena di morte solo dopo la sua inglobazione all’Impero Romano.   

La missione pastorale, che la Chiesadirige al mondo, rappresenta la continuazione della missione stessa di Cristo : “ Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo “ ( Mt. 28,20 ).

Con l’istituzione della Chiesa, Gesù fonda sulla terra Il Regno di Dio, con a capo Pietro. Non è, perciò, esagerato affermare,che il futuro della sopravvivenza umana dipende dalla sua capacità di formare le coscienze umane ad una sensibilità, verso una dignità umana, di valore assoluto e non relativo.

 

 

 Se la Chiesa, che rappresenta e ripresenta, Colui che si identifica con la vita stessa : “ Io sono la vita “ ( Gv. 14,6 ), discrimina, fattivamente, la vita umana della persona colpevole da quella innocente, come potrà convincere il mondo della sua autorità soprannaturale, visto che anch’esso afferma la medesima cosa : voler punire con la morte solo la persona umana colpevole e non quella innocente?

Questa dottrina, relativizza, nelle coscienze umane, il concetto di sacralità e inviolabilità della dignità della vita e favorisce l’insorgere di alibi : ideologici, politici, religiosi, giuridici, economici ecc. volti a giustificare la violazione dei diritti e la soppressione di tante vite.

Riaffermando che : questa iniziativa intendo porla sotto l’autorità del papa, mi appello a tutti i ministri della Chiesa e ai membri del popolo di Dio, affinché mi aiutino a promuovere nella Chiesa, perla Chiesa e conla Chiesa, iniziative concrete atte a stimolare una riflessione che possa favorire il ritorno alla dottrina originaria, che aborriva, e non favoriva, la pena di morte.

 

                                                                                                        diacono Giusepppe Cavallaro                                                                                                                    

 

 

 

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