Si afferma che nel Vangelo non vi sono elementi certi che fanno escludere moralmente la pena di morte. Ammesso, e non concesso, che ciò sia vero, io mi domando, è questa una ragione sufficiente, che ci autorizza, come Chiesa , ossia, come istituzione universale voluta da Cristo per educare le coscienze umane alla tolleranza e alla solidarietà, a giustificarla e a legittimarla moralmente?
Se il Vangelo non la esclude, esplicitamente, è solo perché dà per scontato che essa è sempre da aborrire.
Tutto, lo Spirito del Vangelo, dal primo versetto di Matteo all’ultimo versetto dell’Apocalisse, la considera incompatibile con il pensiero di Gesù, il quale non solo condanna l’uccisione volontaria : “ Non uccidere “ ( Mt. 19,18 ), ma, anche, il solo moto d’ira consistente nel desiderio di vendetta ( Mt. 5, 21-22 ).
La legge del taglione, che nell’Antico Testamento la legittimava ( Dt. 19,21 ), è stata da Gesù, definitivamente, revocata e sostituita con la legge del perdono, la quale, per noi cristiani, è una legge obbligatoria e non facoltativa ( Mt. 6, 15 ). Come possiamo, noi suoi discepoli, rilegittimare una dottrina che Lui ha delegittimata e sottovalutare il suo imperativo, a superare il livello di giustizia osservata dagli scribi e dai farisei ( Mt. 5,20 ) ?
Questa linea dottrinale è, decisamente, attestata anche dalla Tradizione originaria della Chiesa, la quale essendo più vicina all’insegnamento di Cristo e degli Apostoli è immune da ogni influenza del potere romano.
Il racconto storico della donna adultera, riportato dal Vangelo di Giovanni, potrebbe essere, a mio parere, uno degli esempi, in cui lo Spirito di Gesù, sia pure implicitamente, condanna la pena di morte.
“ Allora, gli scribi e i farisei gli conducono ( a Gesù ) una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono : Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici ? Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi “ ( Gv. 8,3-9 ).
Al di là delle loro intenzioni ipocrite, gli scribi e i farisei, presentano all’attenzione di Gesù, un vero caso di cronaca giudiziaria, un caso penale, per il quale la legge prevedeva la pena di morte, e lo invitano ad esternare il suo pensiero in proposito. Cosa che farà, avvalendosi del contributo testimoniale dei suoi nemici.
La loro domanda, quindi, riveste grande importanza al fine di conoscere la sua volontà in merito alla liceità o meno di quella condanna a morte e, naturalmente, della pena capitale in genere, in quanto, ci ottiene la risposta di Gesù, che provoca negli accusatori della donna, un preciso comportamento che equivale alla spiegazione pratica del suo pensiero morale. Essi, infatti, sentita la risposta, la interpretano alla luce della Scrittura, e la spiegano a noi, non con le parole, ma con la mimica della loro testimonianza. In effetti, con il loro comportamento esplicitano, perfettamente, la sua volontà, implicitamente, contenuta nella risposta.
Il loro agire, più eloquente di cento spiegazioni, svela, decisamente, l’opposizione di Gesù per quella richiesta di condanna a morte : Egli non riconosce ad essi nessun diritto a utilizzare la morte come strumento di punizione morale e sociale.
Questo, e solo questo, essi esprimono con la loro testimonianza, agendo esattamente come Lui voleva che agissero, affinché, anche noi cattolici, osservando il loro agire, comprendessimo bene il suo pensiero e, di conseguenza, agissimo imitandoli.
Con le parole: “ Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei “, ossia, chi di voi è senza peccato, esegua pure la condanna a morte, Gesù risponde alla maniera dei rabbini, i quali, direttamente o indirettamente, si appellavano sempre all’autorità della Scrittura.
E gli scribi e farisei, che la conoscevano bene, sapevano che Essa insegna che non esistono al mondo persone senza peccato ( Qo. 7,20 ; 1 Gv. 1,8-10 ) e quindi persone in diritto di tirare la pietra.
Il loro comportamento, di assoluta resa, conferma esattamente questa interpretazione. Se essi rinunciarono al loro proposito di punire la donna con la pena di morte, fu solo a seguito delle sue parole, con le quali obbligò le loro coscienze di credenti a confrontarsi conla Scritturache, appunto, li confermava peccatori.
Inoltre, Egli non si limita a negare ad essi questo diritto, ma rivela il criterio che, per il futuro, dovrà guidare i discepoli alla verità : dovrà essere quello di peccato e non più di reato, criterio da sempre adottato dal mondo e dai potenti che lo dominano.
Egli non disse, agli scribi e farisei : Chi di voi non ha mai commesso il reato di adulterio scagli per primo la pietra contro di lei, ma : “ Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei “. E, alla donna da Lui sottratta alla lapidazione, non disse : Và e d’ora in poi non commettere più reato di adulterio, ma : “ Và e d’ora in poi non peccare più “ ( Gv. 8,11 ).
La scrittura, infatti, distingue il peccato dagli atti peccaminosi, senza tuttavia diminuire la gravità di questi ultimi.
Essa menziona, espressamente, ad un atto interno da cui il reato procede : “ Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi cattivi : prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dal di dentro e contaminano l’uomo “ ( Mc. 7, 21-23 ).
Quindi, le parole di Gesù non hanno carattere obbligatorio solo per la coscienza degli ebrei e facoltativo per quella dei cattolici. Esse, rivelano una verità morale oggettiva, ossia, una verità perenne e universale : tutti gli uomini sono peccatori, nessuno escluso, pertanto, a nessuno di essi Dio ha conferito il diritto di tirare la pietra della pena di morte.
Mentre la nostra dottrina cattolica consentendo, in linea di principio, al potere pubblico il diritto morale di poterla tirare, su coloro che esso considera colpevoli di, determinati reati, si discosta, totalmente, da questa verità oggettiva e, di fatto, conferisce più valore alla legge umana che alla vita umana.
Il Vangelo esorta, esplicitamente, i cattolici a non conformare il loro atteggiamento all’agire di questo mondo ( Rm. 12,2 ), che Cristo è venuto, appunto, a convertire dalle sue opere malvagie, tra le quali va, certamente, annoverata la pena di morte, di cui esso da sempre ne è il detentore.
E proprio con essa, i potenti del mondo, crocifissero Gesù ( 1 Cor. 2,8 ), per non sentirlo più parlare di tolleranza e perdono.
E sempre con la pena di morte che, uccidendogli crudelmente il Figlio, trafissero il cuore di Maria, con la spada del dolore, preannunciata dallo Spirito Santo per bocca del profeta Simeone(Lc. 2,35 ).
Perciò, il Vangelo, oltre che esortarci a distinguere, nettamente, il nostro operato da quello esercitato dai dominatori di questo mondo, ci invita, pressantemente, a rinnovarci nelle coscienze al fine di realizzare l’ideale evangelico, che consiste, essenzialmente, nel distinguere sempre la volontà di Dio da quella del mondo e di compiere solo ciò che a Lui è gradito ( Rm. 12,2 ).
diacono Giuseppe Cavallaro
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