Mi chiamo Giuseppe Cavallaro e sono un Diacono permanente della Chiesa di Napoli, ordinato
dal Card. Corrado Ursi il 7 Ottobre 1981.
A mio avviso, il principio di liceità morale che, come Chiesa Cattolica, riconosciamo all’autorità pubblica di comminare la pena di morte, a persone ritenute colpevoli dalla legge umana e assicurate alla giustizia penale, è contrario sia allo Spirito del Vangelo che alla Tradizione originaria della Chiesa, la quale fino al quarto secolo l’ha, decisamente, aborrita.
Se la morte è considerata dalla Scrittura : la nemica di Dio ( 1Cor. 15,26 ), non può che essere considerata tale anche dalla Chiesa, la quale nasce, proprio, dalla Resurrezione di Cristo, ossia, dalla vittoria della vita sulla morte.
Che vi creda il mondo nella liceità etica della morte, utilizzata come strumento giudiziario penale, è “comprensibile”, esso vi ha sempre creduto, sia prima che dopo la venuta di Cristo, ma che vi credala Chiesa, nella liceità morale del principio penale capitale è “incomprensibile” dal momento che essa è stata istituita da Cristo, proprio, per convertirlo dalla sua cultura di vendetta e di morte.
Essa sa bene che: “ la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” ( Sp. 2,24 ) e che lui solo ha il potere di generarla ( Eb. 2,14). Dietro la morte vi è, dunque, sempre il male, il peccato. Perciò il Vangelo ci avverte che : “ Il peccato è il pungiglione della morte “ ( 1Cor. 15,56 ). Se dunque vi è una relazione indissolubile tra il peccato e la morte, come si può negare che vi sia, altresì, una relazione altrettanto indissolubile tra la morte e il peccato? Come il peccato genera morte, così la morte genera, il peccato.
La vita umana è sempre sacra e inviolabile anche quella di chi ha trasgredito gravemente la legge umana perché essa non ci viene dalle creature ma dal Creatore, che essendo immutabile nella sua divinità, dona la vita senza mai pentirsi ( Rm. 11,29 ). Per cui quando si emette una sentenza capitale per una persona umana già assicurata alla giustizia penale, non si può, nè si deve parlare di “ Giustizia “, ma di vendetta, omicidio di stato, trasgressione del quinto Comandamento, violazione della Legge di Dio.
Dio non ha detto di “Non uccidere l’innocente”, ma di :”Non uccidere” ( Es. 20,13 ; Dt. 5,17 ), punto e basta, come attesta tutto il Nuovo testamento ( Mt 19,18 ; Mc. 10,19 ; Rm. 13,9 ; Gc. 2,11 ). Il comando formulato in termini negativi ha valore “ assoluto “ e non “ relativo “, non ammette obiezioni, eccezioni e nè, tanto meno, precisazioni di sorta, come noi, invece, asseriamo al N° 2261 del nel Nuovo Catechismo : “ La Scrittura precisa la proibizione del quinto comandamento : << Non far morire l’ innocente e il giusto>> ( Es. 23,7 )“. In realtà questa proposizione ( Es. 23,7 ) non ha lo scopo di “ precisare “, quali siano e quali non siano, i soggetti morali a cui è rivolto il comandamento : “ Non uccidere “ , ma di evidenziare il corretto comportamento che devono assumere testimoni e giudici nell’ambito di un processo penale.
Nessuna legge umana può presumere di prevalere sulla Legge Divina senza che,di fatto, provochi un arretramento del Regno di Dio, un offuscamento delle coscienze umane e un regresso dello sviluppo integrale della persona, la cui dignità, come insegna lo stesso magistero, deve essere salvaguardata : “ Dal suo concepimento alla morte naturale”, la quale sopraggiunge solo per malattie e vecchiaia.
Per queste, ed altre, personali convinzioni, dopo la pubblicazione del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, nel 1994, inviai al papa, unitamente ad una petizione di 490 firme, una lettera in cui chiedevo di escludere dal N. C. ogni forma di adesione alla pena di morte.
Il numero di 490 non fu casuale ma in relazione alla risposta che Gesù indirizzò a Pietro, il quale avendogli chiesto se era sufficiente perdonare fino a sette volte a chi sbaglia, Gesù gli rispose : “ Non ti dico fino a sette ma settanta volte sette “ ( Mt. 18,22 ) , che nel linguaggio evangelico equivale all’obbligo di dover perdonare sempre.
Il perdono cristiano, che non consiste affatto, nella rinuncia ad educare con fermezza e responsabilità e punire, con certezza di pena, chi viola le leggi civili e soprattutto penali, ma astenersi dalla vendetta, la cui espressione massima si rivela, appunto, nella pena di morte.
Il perdono cristiano non è per noi, Chiesa, una condizione morale facoltativa, ma obbligatoria, per entrare nella salvezza ( Mt. 6,14-15 ).
E poiché questa iniziativa non approdò a nessun risultato, se non quello di essere convocato dal Vescovo ausiliare, come avviene, generalmente, in questi casi, il 7 Ottobre del 2001 decisi, di inviare al papa una ulteriore raccolta di firme, circa 2000, unitamente ad una breve relazione ( che accludo ).
E anche questa volta fui convocato dal nuovoVescovo ausiliare, il quale dopo avermi rivolto alcune domande, circa la mia iniziativa, mi congedò cordialmente.
Per cui, anche questa seconda iniziativa non produsse alcun risultato positivo.
Decisi allora di compiere un ulteriore passo : inviare al papa una lettera in cui esercitavo, ufficialmente, il diritto –dovere di obiezione di coscienza, nei confronti dell’art. 2267 del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui si riconosce, in linea di principio, al potere pubblico la legittimità morale di esercitare la pena di morte, cosa che ho fatto nel febbraio 2005 ( che accludo ).
Tengo a precisare, come si può rilevare anche dalla documentazione acclusa, che questa mia iniziativa, affidata completamente all’autorità del papa, l’ho promossa solo nella speranza di suscitare all’interno alla Chiesa, a cui mi onoro di appartenere, una riflessione circa questa dottrina che, a mio parere, ci deriva da una sorta di conformazione alla cultura del mondo, cosa decisamente disapprovata dal Vangelo ( Rm. 12,2 ).La Chiesa, infatti, ha iniziato a considerare, favorevolmente, la dottrina sulla pena di morte solo dopo la sua inglobazione all’Impero Romano.
La missione pastorale, che la Chiesadirige al mondo, rappresenta la continuazione della missione stessa di Cristo : “ Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo “ ( Mt. 28,20 ).
Con l’istituzione della Chiesa, Gesù fonda sulla terra Il Regno di Dio, con a capo Pietro. Non è, perciò, esagerato affermare,che il futuro della sopravvivenza umana dipende dalla sua capacità di formare le coscienze umane ad una sensibilità, verso una dignità umana, di valore assoluto e non relativo.
Se la Chiesa, che rappresenta e ripresenta, Colui che si identifica con la vita stessa : “ Io sono la vita “ ( Gv. 14,6 ), discrimina, fattivamente, la vita umana della persona colpevole da quella innocente, come potrà convincere il mondo della sua autorità soprannaturale, visto che anch’esso afferma la medesima cosa : voler punire con la morte solo la persona umana colpevole e non quella innocente?
Questa dottrina, relativizza, nelle coscienze umane, il concetto di sacralità e inviolabilità della dignità della vita e favorisce l’insorgere di alibi : ideologici, politici, religiosi, giuridici, economici ecc. volti a giustificare la violazione dei diritti e la soppressione di tante vite.
Riaffermando che : questa iniziativa intendo porla sotto l’autorità del papa, mi appello a tutti i ministri della Chiesa e ai membri del popolo di Dio, affinché mi aiutino a promuovere nella Chiesa, perla Chiesa e conla Chiesa, iniziative concrete atte a stimolare una riflessione che possa favorire il ritorno alla dottrina originaria, che aborriva, e non favoriva, la pena di morte.
diacono Giusepppe Cavallaro
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