Una Chiesa giusta in un mondo giusto

In occasione della 35a “Giornata della vita” (3 febbraio 2013) , l’Associazione di Volontariato “La Vita”, chiede al papa di escludere la liceità morale della pena di morte dal “Catechismo” ( art. 2267) e da tutta la Dottrina cattolica.

Con la venuta di Cristo, fatto uomo mortale, la persona umana ha riacquistato l’immortalità fisica e spirituale. Con la sua incarnazione, morte e resurrezione Gesù ha unito a sè, in maniera indissolubile ed eterna, la natura umana dell’uomo, perciò, giustamente, il Vangelo afferma : “Colui che ha resuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che abita in voi” (Rm 8,11) e “Questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità (1 Cor 15,54). Il fatto che, questa Parola di Dio avrà pieno compimento solo alla fine dei tempi, come affermiamo anche nel “Credo” : “Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, non toglie che, già adesso, qui ed ora, la persona umana è stata da Cristo ricostituita immortale, infatti, “ciò che sarà già è” (Qoèlet 3,15).
E allora, se Cristo, con il suo sacrificio ha distrutto per sempre la morte e ha trasformato il suo veleno mortifero, che la provoca, in un sonnifero temporaneo, perché “La Chiesa  non esclude…il ricorso alla pena di morte” (Nuovo Cat. n° 2267) e richiama in vita, con la sua dottrina, la nemica di Dio (1 Cor 15,26)? Con la liceità morale della pena di morte essa, rema contro la volontà di Dio, riedifica ciò che Cristo ha distrutto con il suo sacrificio e lede la dignità dei sacramenti, in particolare del Battesimo, per mezzo del quale la persona umana rinasce alla vita eterna per i meriti di Cristo. Il “senso” che Cristo ha conferito con la sua incarnazione alla vita umana, non va considerato dal concepimento alla morte naturale, ma dal concepimento all’eternità, e la vita umana, che sfocia nell’eternità, non ha valore relativo, come insegna la Chiesa, ma assoluto. La liceità morale della pena di morte, che consente al potere pubblico di distruggere vite umane anche innocenti, discredita  la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. “La Chiesa è l’universale sacramento della salvezza che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo” (Gaudium et spes n°45), ma come lo svela e lo realizza? “Rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto l’azione dello Spirito Santo” (Gaudium et spes n°21e). Il futuro dell’umanità, la pace, la giustizia, la verità, prima ancora che dalla politica, dall’economia, dalle religioni o dalla scienza, dipende dalla Chiesa, dalla sua capacità di rinnovarsi e di conformarsi sempre più a Cristo “autore della vita” (At 3,15) e  suscitare nelle coscienze umane il riconoscimento del vero senso e valore della vita umana.

                                                                                                              diac. Giuseppe Cavallaro

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Anche per la Chiesa la Storia umana è maestra di vita

Sebbene il Concilio Vaticano II  la obbliga al rinnovamento, la Chiesa continua a promuovere il principio di liceità morale della pena di morte : “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude…il ricorso alla pena di morte” (N.C. n° 2267).                   

Nemmeno Giovanni Paolo II, che tanto si è impegnato contro la pena capitale, è giunto ad escludere dalla dottrina cattolica questo principio.

Eppure, la natura negativa del quinto Comandamento : “Non uccidere”, vieta in modo assoluto, non solo, l’uccisione delle persone innocenti, ma anche delle colpevoli, non solo degli Abele, ma anche dei Caino: “Chiunque ucciderà Caino, subirà la vendetta sette volte” (Gn 4, 15) : Dio considera grave l’uccisione di Abele da parte di Caino, ma considera gravissima l’uccisione di Caino da parte di terzi.

Da una prospettiva morale, “il ricorso alla pena di morte” si identifica con “l’omicidio volontario” perché “il ricorso alla pena di morte”, proprio come “l’omicidio volontario”, cagiona la morte ad una persona umana con la precisa volontà di ucciderla.

Anzi, “il ricorso alla pena di morte” si accompagna con l’aggravante della premeditazione, infatti, l’esecuzione capitale è sempre  preceduta da una accurata preparazione.

Perciò, il Concilio Vaticano II condannando “ogni specie di omicidio” (Gaudium et spes n° 27/c), implicitamente condanna anche “il ricorso alla pena di morte”, che è una “specie di omicidio”.

Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente” si augurava che il Giubileo dell’anno 2000 fosse occasione per una purificazione della Chiesa da tutte “le forme di contro-testimonianza e di scandalo ” (n° 33). E, non è forse una forma “di contro-testimonianza e di scandalo” il “principio di liceità morale della pena di morte” ? Con questo principio la Chiesa non ha forse condannato a morte un numero di persone che solo Dio conosce e, cosa ancora più grave che “il ricorso alla pena di morte” implica, fatto morire persone assolutamente innocenti ? E, ancora oggi, non fornisce con questo principio un pericoloso alibi alle coscienze di quanti sono inclini alla  pena di morte?

E questo, benché Gesù le avesse espressamente comandato di non esercitare mai l’arbitrio assoluto essendo la legge umana per sua natura imperfetta (Mt 13,24-30).

Perciò, le sue mani sono intrise di sangue umano e tali resteranno finché non le avrà purificate con la penitenza e il rinnovamento : “La Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme è sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il rinnovamento”(Lumen gentium n° 8/c).

Ora, per la Chiesa Il rinnovamento, non consiste in un semplice cambiamento, ma in un sincero pentimento degli errori commessi e il ritorno agli insegnamenti della Chiesa primitiva fondata dagli Apostoli, tra cui il rifiuto assoluto della pena di morte : “La Chiesa primitiva ha valore esemplare per ogni periodo di  rinnovamento e di crescita ecclesiale” (Ev. e Min. n°43).

Il rinnovamento della Chiesa è favorito anche dalla “Storia umana”, essendo la quale una importante fonte teologica.

E un esempio di storia umana che ha contribuito al suo rinnovamento è quello relativo all’Unità d’Italia : se non moralmente, praticamente le ha proibito l’utilizzo della pena di morte e favorito la sua liberazione dal potere temporale riportandola, così, nel solco della Tradizione Apostolica.

Per cui, da una prospettiva teologica, considerare anche la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” e la “Costituzione Italiana” eventi storici che potrebbero promuovere il suo rinnovamento, non è farle un torto, ma orientare questi eventi, o meglio, “questi segni dei tempi” verso i fini di verità e giustizia fissati da Dio stesso.

Ecco perché, l’Associazione “La Vita”, non disdegna di rivolgersi con una lettera aperta al “Capo dello Stato”, al quale chiede di intervenire, non contro la Chiesa, ma contro il suo “principio di liceità morale” che induce,  moralmente e culturalmente, le persone a violare il “diritto alla vita umana” sancito dalla Legge di Dio e difeso, sia dalla “Costituzione Italiana” che dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti umani” e dal suo solenne “Proclama”.

L’Associazione “La Vita”, sarà presente a Roma domenica 5 Febbraio 2012, “Giornata Nazionale della Vita”, all’Angelus del Papa, al quale chiederà, esponendo uno striscione, di rinunciare, al “principio di liceità morale della pena di morte” e difendere, in modo assoluto, la sacralità e l’inviolabilità della vita umana dal suo concepimento alla fine naturale.

 

8/12/2011                                                                            diacono Giuseppe Cavallaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Chiedi anche tu al papa di escludere dalla Dottrina Cattolica il principio di liceità morale della pena di morte, inflitta alle persone giudicate colpevoli dalla legge umana.

Se, l’art. 2261 del Nuovo Catechismo afferma che: “ La Scrittura precisa la proibizione del quinto comandamento: << Non far morire l’innocente e il giusto >> (Es 23,7), è conseguenziale che: “Il comandamento :  Non uccidere  ha valore  assoluto quando si riferisce alla persona innocente” ( Evangelium vitae. n° 57) e valore relativo quando si riferisce alla persona colpevole. Infatti, l’art. 2267 del Nuovo Catechismo conferma che : “L’ insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’ identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte”.  

La Chiesa, dunque, riconosce all’autorità pubblica il potere di applicare la pena di morte, nei confronti delle persone colpevoli, perché “la Scrittura”, e più, precisamente, il versetto 7 del capitolo 23 dell’Esodo: << non far morire l’innocente e il giusto >>, preciserebbe che il comandamento: “Non uccidere” è stato formulato da Dio per proteggere la vita delle persone innocenti, ma, non le colpevoli.

Mala Chiesaè proprio certa che questa dottrina, così inumana, sia conforme alla legge divina e non sia, piuttosto, frutto di conformazione umana?

Se di fronte alla legge umana, tutte le persone sono considerate uguali: “La legge è uguale per tutti”, quanto più, tutte le persone, dovrebbero essere considerate uguali di fronte alla legge di Dio, che possiede carattere universale?

Mentre, per il Catechismo, di fronte alla legge divina: “Non uccidere”, le persone non sono considerata tutte uguali, ma, a priori, separate le buone dalle cattive, e proprio le cattive, per le quali Dio ha istituita la legge, defraudate dai benefici.

In realtà, “La Scrittura”, di cui parla il Catechismo, che “precisa la proibizione del quinto comandamento”, si riduce ad un versetto dell’ Antico Testamento: <<Non far morire l’innocente e il giusto >>, formulato, peraltro, in modo incompleto, infatti, citato per intero : <<  Starai lontano dalla parola falsa e non ucciderai l’innocente e il giusto perché io non dichiaro giusto il colpevole >> (Es 23,7), rivela  la vera intenzione dell’autore sacro, che non è certo quella di voler precisare la proibizione del quinto comandamento, come dichiara il Catechismo, ma formare le coscienze umane al giusto comportamento morale che devono assumere i soggetti giuridici nell’ambito di un processo penale : Dio vieta, categoricamente, ai giudici e ai testimoni, di ricorrere a parole false per deviare il corso della giustizia, provocando la condanna dell’innocente e l’assoluzione del colpevole. Intenzione che, l’autore sacro sottolinea anche con il versetto precedente: << Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo >> (Es 23,6)

Tra l’altro, non spetta all’Antico Testamento stabilire le verità divine in materia di fede e di morale, ma al Nuovo Testamento, mentre in esso non vi è un solo versetto che autorizzila Chiesaa legittimare la pena di morte, una pena di natura vendicativa, assolutamente, contraria al perdono, che costituisce il D N A dello spirito cristiano.

Unitamente alla pena di morte, anche “la tortura” è stata considerata dalla Chiesa, moralmente lecita, solo con il Concilio Vaticano II è stata, finalmente, esclusa e condannata.

Prima, però, che fosse rigettata, un numero di persone, che solo Dio conosce, ha dovuto soffrire atrocità incredibili e tante di esse sono morte a causa di questa dottrina legittimata dalla Chiesa. 

Ora, però, che il Concilio si è espresso in modo autentico e ufficiale contro tutte: “…le torture inflitte al corpo alla mente…ledono grandemente l’onore del creatore” (Gaudim et spes .n° 27) può, la Chiesa, continuare a considerare lecita la pena di morte? Non è forse la pena di morte una pratica di tortura, inflitta al corpo e alla mente?

Ecco come, a tal proposito, si esprime Suora Helen Prejean che ha seguito fino al patibolo molti condannati a morte: “Non importa se gas, sedia elettrica, iniezione. Il fatto è che esseri umani lucidi, che hanno un’immaginazione, anticipano quel momento mille volte e mille volte muoiono prima di morire davvero”.

E, il giudice William Brennam, a seguito di una condanna a morte sulla sedia elettrica, ebbe a dichiarare: “ Le mani diventano rosse, poi bianche, e i nervi del collo sporgono come corde di metallo…Gli arti, le dita delle mani e i piedi, il volto, si contorcono violentemente. La forza della

corrente è tale che i bulbi oculari fuoriescono dall’orbita. Spesso il condannato defeca, urina, vomita sangue e bava. Talvolta prende fuoco, e frequentemente il corpo è orrendamente ustionato”.

Gesù, in qualità di nuovo legislatore ha ridonato al quinto comandamento la sua purezza originaria. Altro che precisazioni di sorta, Egli condanna, non solo, la violazione del quinto comandamento, citandolo esattamente come uscito dalla bocca di Dio : “ Non uccidere “, ma pone sullo stesso piano dell’omicidio anche gli impulsi e le reazioni che potrebbero favorirlo (Mt 5,21 – 22).

La pena di morte è, pertanto, anch’essa una orrenda pratica di tortura “contro la vita stessa” che lede “grandemente l’onore del creatore” (Gaudium et spes n° 27).

 

Aderisci, dunque, a questa iniziativa, che affidiamo all’autorità dello stesso papa.

In qualità di battezzato, esercita anche tu, non un diritto democratico, ma un carisma ecclesiale, la cui fonte teologica è il “ sensus fidei “, ossia, il soprannaturale senso della fede in tutto il popolo, con il quale tutta la Chiesa, clero e laici: “mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale” (Lumen gentium n° 12).

Indirizza, un E- MAIL al papa: “principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen gentium n° 23), per chiedergli, filialmente, di escludere dalla Dottrina Cattolica

 il principio di liceità morale della pena di morte e di proteggere la vita umana, non solo, innocente, ma anche colpevole, come fece Dio con Caino, Gesù con l’adultera e la Chiesa dei primi secoli, la quale ancor più faceva eco all’insegnamento degli Apostoli, con coloro che trasgredivano gravemente la legge umana.                              

 

A SUA SANTITA’ BENEDETTO XVI,  
E-MAIL :  SEGRETERIAGENERALE@VICARIATUSURBIS.ORG

 

7 ottobre 2008                                                                                     diacono Giuseppe Cavallaro

 

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L’inviolabilità assoluta del “diritto alla vita” è presupposto necessario per riconoscere, correttamente, alla persona umana tutti gli altri diritti.

La nostra concezione dei diritti umani, dipende dal concetto di “diritto alla vita”, che ci facciamo.

“La Dichiarazione Universaledei Diritti dell’Uomo”, afferma che: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Questa affermazione, approvata nel corso della rivoluzione francese e inserita nei documenti di molti organismi nazionali e internazionali, come lo statuto dell’ONU, pur riconoscendo un carattere prioritario al diritto alla vita, lo pone, concettualmente, sullo stesso piano di valore di tutti gli altri diritti umani.

Mentre, “il diritto alla vita”, che si identifica con la persona umana ha un valore diverso, un valore assoluto, perché ogni persona che viene al mondo è titolare esclusiva di questo diritto sacro e inviolabile, inoltre, è il diritto alla vita umana che chiama alla vita tutti gli altri diritti, la cui finalità è di rendere sempre più umana e preziosa la vita.

Quindi, per costruire, stabilmente, l’edificio dei diritti umani è indispensabile porre a fondamento di esso il diritto alla vita, su cui edificare tutti gli altri diritti.

Mentre, l’attuale concezione, ponendo tutti i diritti umani su uno stesso piano di valore, crea una sorta di generalizzazione, che ne oscura la luminosità e impedisce di cogliere il suo valore reale e ideale.  

Ecco perché, nonostante le tante dichiarazioni autorevoli e l’incessante impegno dei grandi movimenti pacifisti, i diritti umani, soprattutto quello alla vita, continuano ad essere, troppo spesso, negati, violati, equivocati, infatti, non sono pochi quelli che  considerandosi in prima linea nella difesa dei diritti umani, favoriscono la pena di morte, che uccide il diritto alla vita e, con esso, tutti gli altri diritti umani.

Perfino la Chiesa, che ha come compito fondamentale formare le coscienze al rispetto integrale dei diritti umani (Mt 25,31-46) e, in modo particolare, a quello alla vita ( Es 20,13; Mt 19,18), considera, ancora oggi, in linea di principio, moralmente ammissibile la pena di morte : “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non escludeil ricorso alla pena di morte (Cat. n° 2267).  

Da ciò si evince, chiaramente, che la violazione dei diritti umani non è solo un problema di natura laica, come molti pensano, ma anche religiosa e, tuttavia, la stragrande maggioranza dei fedeli, e non solo, è profondamente convinta che la Chiesa è, in linea di principio, contraria alla pena di morte.

Perciò, una opposizione culturale e morale alla pena capitale, non può, assolutamente, prescindere da questo dato di fatto.

Dall’ intimo rapporto, che intercorre fra il diritto alla vita e tutti gli altri diritti umani, che sono ad esso ordinati, non è, né ragionevolmente possibile, né moralmente accettabile, una concezione vera e giusta dei diritti umani, che possa scaturire da un concetto falso e ingiusto del diritto alla vita.          

 

 

 

Dunque, è necessario mettere in campo iniziative atte a diffondere una concezione dei diritti umani co-ordinati all’inviolabilità assoluta del diritto alla vita : le omissioni, le contraddizioni e le violazioni dei diritti umani, non sono fine a se stesse, ma volte a colpire il diritto alla vita, e quindi, la persona umana.

Una delle iniziative da praticare potrebbe essere, ad esempio, quella di sollecitare la base cittadina delle città che condividono il concetto di inviolabilità assoluta del diritto alla vita, a promuovere una petizione e indirizzarla sia al Sindaco, responsabile laico della città, che al Papa, responsabile religioso di tutte le comunità ecclesiali.

Una raccolta di firme per chiedere al primo Cittadino di proclamare la città : “Città della Vita”, accrescendone, così, la dignità culturale e morale e fissare un giornata annuale per riflettere su questo tema delicato e importante.

Al Papa, invece, chiedere che la Chiesa rinunci al principio di liceità morale della pena di morte, che è contrario, non solo, al quinto Comandamento : “Non uccidere” e alla Tradizione originaria della Chiesa, ma allo spirito della Carta Costituzionale della Repubblica Italiana e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.

Se è vero, come è vero, che dal concetto di inviolabilità assoluta del diritto alla vita dipende la vera concezione dei diritti umani e la sua corretta applicazione, non vi è dubbio che, questa nuova concezione, renderà più equa “la giustizia”, più concreta “la solidarietà” e più radicata “la pace”.

 

8/05/2011                                                                        diacono Giuseppe Cavallaro

 

 

 

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La Chiesa è favorevole o contraria alla pena di morte ?

All’appello di aiuto rivolto al Vaticano dal figlio di Sakineh, la donna condannata a morte dalla legge penale iraniana, il Direttore della sala stampa Padre Federico Lombardi, dopo aver affermato che: “la S. Sede segue la vicenda con attenzione e partecipazione” ha voluto precisare che: “la posizione della Chiesa contraria alla pena di morte è nota”.

Queste parole del Direttore della sala stampa più che precisare la posizione della Chiesa, circa la pena di morte, sottolineano l’equivoco morale, in cui essa si crogiola.

Come potrebbe, infatti, avere una posizione notoriamente contraria alla pena di morte, se “il principio” di liceità morale della pena capitale è parte integrante della sua dottrina morale e della sua Tradizione?

Non è forse vero che: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude…il ricorso alla pena di morte” (N.C. n° 2267) da parte del potere pubblico ?

Per la Chiesa, “Il principio” morale, non ha un valore semplicemente teorico, esso è una verità divina contenuta nel “Deposito della fede” che è immutabile e da cui attinge le verità di fede e di morale da insegnare nel prolungamento della Tradizione Ecclesiastica. “Il principio” morale è, praticamente, il fondamento di ogni ragionamento e dottrina, simile ad un albero che produce frutti : “Non c’è albero buono, che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni” (Lc 6,43). Perciò, dal momento che “il principio” morale è di liceità della pena di morte, come può essa affermare che: “la posizione della Chiesa contraria alla pena di morte è nota”? Anche se la Chiesa, soprattutto da Giovanni Paolo II in poi, ha adottato “la prassi” di rivolgere istanze contro il ricorso della pena capitale e pubblici appelli di clemenza a favore dei condannati a morte, come appunto nel caso sopra citato, questo non significa che essa ha rinunciato “al principio” di liceità morale della pena di morte. “La prassi” è entrata a far parte delle sue attività pastorali, soprattutto per la lotta che hanno condotto i movimenti pacifisti, impegnati per la difesa dei diritti umani e, in particolare, per l’abolizione della pena capitale: “Nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione” ( Evangelium vitae n° 56).

Quindi, essa non ha affatto rinunciato a considerare lecito “il ricorso alla pena di morte” e a conferire alle coscienze umane, soprattutto dei potenti, il permesso di uccidere “legalmente” le persone, incluse tutte quelle assolutamente innocenti uccise per abusi ed errori giudiziari causati a motivo della defettibilità della legge umana. E questo, nonostante essa dichiara che l’inviolabilità assoluta è una prerogativa della sola vita umana innocente ( Evangelium vitae n° 57 ).  

Perciò, essa in coscienza, non può affermare che : “la posizione della Chiesa contraria alla pena di morte è nota”, se prima non rinuncia “al principio” di liceità morale della pena di morte, essendo esso, assolutamente estraneo al “deposito della fede”, come si evince dalla Tradizione della Chiesa originaria fedele interprete e testimone della Chiesa Apostolica.

8 dicembre 2010                                                             diacono Giuseppe Cavallaro

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Anche alla Chiesa, come istituzione umana, Dio indirizza, come a Caino, il suo duro rimprovero: “Cosa hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo” (Gn 4,10).

Non tutti i membri del “Popolo di Dio”, soprattutto fra i fedeli laici, sanno che: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude…il ricorso alla pena di morte” (N.C. n° 2267) e che, pertanto, riconoscendo alla legge umana la liceità morale della pena capitale, assolve anche le uccisioni di persone, assolutamente, innocenti che questa, inevitabilmente, provoca.

La Chiesa, in qualità di educatrice universale delle coscienze, sa bene, quanto imperfetta sia la legge umana e inevitabili gli errori giudiziari.  

La defettibilità della legge umana è una verità morale oggettiva: la legge umana è imperfetta perché l’uomo è imperfetto a causa dei suoi peccati.

Lo stesso Gesù è ricorso a questa verità morale per scongiurare l’esecuzione capitale di una donna, che aveva violato la legge umana: penale e religiosa (Gv 8, 1- 11).

Ma perché “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude… il ricorso alla pena di morte”, mentrela Chiesa originaria e, quindi, Apostolica, lo escludevano tassativamente?

Perché, essa essendo stata inglobata nel quarto secolo dall’Impero Romano si è, gradualmente, conformata alla sua dottrina penale, fino a considerare il quinto comandamento secondo la mentalità del mondo, ossia, come una prerogativa delle sole persone innocenti: “Il comandamento <<Non uccidere>> ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente” (Ev. vitae n°57).

Se Dio, con il quinto comandamento, avesse voluto conferire valore assoluto alla vita umana innocente e valore relativo a quella colpevole, non avrebbe negato agli uomini e, in particolare alla sua Chiesa, il diritto di esercitare l’arbitrio assoluto, ossia, di sradicare dalla faccia della terra la zizzania umana (Mt 13,29).

Ecco perché il comandamento “Non uccidere” è di natura negativa e non positiva, appunto, per conferire valore assoluto, tanto alla vita umana innocente, quanto alla colpevole: Dio, infatti, ha considerato grave l’uccisione di Abele da parte di  Caino, ma ha considerato gravissima, l’uccisione di Caino da parte di terzi: “Chiunque ucciderà Caino, subirà la vendetta sette volte” (Gn 4, 15).

Per questo, la Chiesaconformandosi alla legge penale capitale si è allontanata dallo Spirito del Vangelo (Rm 12,2) e “ha  sporcato di sangue innocente le sue mani, ossia, le mani del “Corpo mistico di Cristo”, il quale essendo formato da “l’universalità dei fedeli… dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” ( L.g. n° 12), fonda la sua unità sull’uguaglianza fondamentale di tutti i suoi membri, uguaglianza che scaturisce dal battesimo ed è antecedente a qualsiasi distinzione e funzione ecclesiale, perciò, non solo “il clero”, ma anche “i fedeli laici”, nella misura propria, sono responsabili della morte delle persone uccise con la pena capitale e, ancor più, delle vittime innocenti che essa causa.

Queste affermazioni, non sono dettate da spirito polemico, ma dall’inquietudine che agita la mia coscienza di battezzato, la mia coscienza di membro del “Corpo mistico di Cristo”.

Inquietudine, che dovrebbe agitare le coscienze di tutti i battezzati, clero e laici, tutti dovremmo sentire il bisogno di chiedere al papa: “principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli” (L.g. n° 23) di escludere dalla dottrina cattolica il principio della liceità morale della pena di morte perché contrario alla Legge divina: “Non uccidere”.

Una ulteriore dimostrazione dell’ immoralità di questo principio, secondo il quale: Il comandamento <<Non uccidere>> ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente” (Ev. vitae n°57), ci viene fornita, indirettamente, dal Governatore del New Mexico Bill Richardson, il quale, proprio, in considerazione dell’impossibilità umana di poter distinguere, con assoluta certezza, l’innocente dal colpevole e la conseguenza, certa, di condannare a morte anche persone innocenti, ha deciso, ascoltando  la voce della sua coscienza come egli stesso dichiara, di abolire nel suo Stato la pena di morte e di sostituirla con il carcere a vita.

Egli dichiara: “non possiamo non essere tutti d’accordo sul carattere definitivo di questa punizione estrema. Una volta presa la decisione finale e la condanna a morte eseguita, non si

può più tornare indietro. Ed è in considerazione di questo che ho preso la mia decisione…Se lo Stato si assume questa terribile responsabilità, il sistema che impone una pena così definitiva deve essere perfetto e non può mai sbagliare. Ma la verità è che il sistema  non è perfetto. Lo hanno provato i test del DNA. Persone innocenti sono state imprigionate nei bracci della morte in tutto il Paese… Oltre 130 detenuti nel braccio della morte sono stati rilasciati negli ultimi 10 anni in tutto il Paese, inclusi quattro nello Stato del New Mexico, e questo è un fatto che non posso ignorare…Di fronte al fatto che il nostro sistema, nel comminare la pena di morte, non può mai essere perfetto, la mia coscienza mi impone di sostituirla con una pena alternativa che comunque mantiene sicura la nostra società”.

La Chiesa, Regno visibile di Dio nella storia, non può essere da meno. Deve rinunciare al principio di liceità morale della pena di morte e riportare questa dottrina nel solco della  “Tradizione Apostolica” e originaria, affinché, sempre più, possa “rendere presente e quasi visibile Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto l’azione dello Spirito Santo” ( Gaudium et spes n° 21).   

La rinuncia di questo principio, da parte della Chiesa, è condizione essenziale per realizzare una “Giustizia” collegata al pian salvifico di Dio, infatti la carità, di cui è ministra, non si testimonia fuori dalla giustizia, ma dentro la giustizia.

E’, dunque, necessaria una pastorale positiva, in cui la Chiesa, facendosi guidare dalla “Verità” (Gv 14,6), non dalla diplomazia, sappia riconoscere, apertamente, questa sua responsabilità morale. E con la grazia dell’umiltà, orientare universalmente, le coscienze umane al rispetto “assoluto” del diritto alla vita, a cui tutti gli altri diritti umani sono ordinati e subordinati.

Per noi battezzati, clero e laici, l’occasione per offrire al mondo una testimonianza concreta a difesa del concetto di valore assoluto della vita umana, ci viene data dalla gravissima situazione di ingiustizia che gli Stati, sostenitori della pena di morte, determinano nei confronti delle persone assolutamente innocenti

Essi, infatti, pur sapendo benissimo che la legge umana è imperfetta e la condanna a morte una pena irreversibile, continuano a comminarla e a determinare, di fatto, la morte di una marea, sempre crescente, di persone innocenti.

Dov’è, dunque, il rispetto del carattere “Bilaterale” della “Giustizia”?

Le norme giuridiche, non impongono alle persone soltanto dei doveri, ma concedono anche la facoltà  di far valere i propri diritti contro tutti coloro che li minacciano o non li riconoscono o li danneggino in un modo o nell’altro.

Sollecitiamo, dunque, attraverso una petizione, l’intervento di un organismo sopranazionale qual è l’ONU. Chiediamogli “Giustizia”, sia, per i casi, pregressi, di persone uccise innocentemente con la pena di morte, sia per prevenire, inevitabili, ulteriori uccisioni causate dalla defettibilità della legge umana.

Prima, però, in qualità di battezzati, ossia, membri del “Corpo mistico di Cristo”, dobbiamo chiedere al papa, a cui affido me stesso e questa riflessione, di rinunciare al principio di liceità morale della pena di morte: conferire valore assoluto anche alla vita delle persone giudicate colpevoli dalla legge umana.

Chiederglielo, partecipando alle ore 12,00 alla preghiera dell’Angelus in Piazza S. Pietro, domenica 6 febbraio 2011: “Giornata della vita” e, per l’occasione, portare al braccio sinistro una fascia di colore nero o munirsi di una bandierina dello stesso colore, come segno di pentimento e cordoglio per tutte le persone che noi Chiesa abbiamo, direttamente o indirettamente, ucciso con la pena di morte e, in particolare, quelle uccise innocentemente.

15 Settembre 2010                                                                        diac. Giuseppe Cavallaro

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Chiediamo al papa di mondare la Chiesa dal sangue innocente da essa versato, come istituzione umana, utilizzando, prima, e consentendo, poi, universalmente, l’utilizzo della pena di morte.

Se la Chiesaafferma, al n° 2261 del N. C. che: La Scritturaprecisa la proibizione del quinto comandamento <<Non far morire l’innocente e il giusto>>” (Es 23,7), lo fa allo scopo di giustificare la sua dottrina morale, circa la pena di morte, secondo la quale: “il comandamento <<Non uccidere>> ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente” (Evangelium vitae n° 57) e valore relativo, quando si riferisce alla persona colpevole, infatti: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude… il ricorso alla pena di morte” (N.C. n° 2267).

Una precisazione poco convincente (vedi docum. n° 1 sito), su cui essa fonda il principio di liceità morale della pena di morte e mediante il quale, universalmente, educa le coscienze umane all’uccisione “legale” e offre ad esse un valido alibi per uccidere con il permesso di Dio.

Essa, aborrendo la pena di morte, solo quando questa è inflitta alle persone innocenti e permettendola quando è inflitta alle persone colpevoli, in verità, non protegge neanche la vita delle persone innocenti, a cui essa attribuisce valore assoluto.

La liceità morale di uccidere le persone colpevoli comporta, inevitabilmente, l’uccisione di una percentuale di vittime innocenti.

Un esempio: alcuni anni fa, un noto giudice della Corte suprema della Florida, Gerard Kogan, rivolgendosi alla Corte suprema degli Stati uniti, ebbe a dichiarare che grazie al Dna, la prova genetica, ben 53 detenuti nel braccio della morte furono scarcerati perché innocenti.

E Michael Radelet , autorevole giurista dell’Università, sempre, della Florida, accertò che 26 dei 500 detenuti sino ad allora giustiziati erano innocenti.

Perciò, autorizzando l’uccisione delle persone, considerate colpevoli dalla legge umana, che è imperfetta, come essa sa bene, ne autorizza anche l’uccisione di quelle innocenti, rendendosi, moralmente responsabile della loro morte.

E questo nonostante Gesù l’avesse avvertita di non porsi mai, nei confronti della vita umana, come arbitra assoluta, poiché: “l’arbitrarietà assoluta è alla radice di ogni male” (Benedetto XVI).

Nella parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30); (vedi docum. n° 5), alla richiesta dei suoi servi, ossia degli Apostoli, di estirpare dal mondo la zizzania, che rappresenta, appunto, le persone giudicate gravemente colpevoli dalla legge umana, Gesù rispose, decisamente, “No”! E motivò: “perché non succeda che estirpandola, con essa sradichiate anche il grano” (Mt 13.29), cioè, perché non succeda che condannando a morte persone considerate colpevoli dalla legge umana, uccidiate anche quelle innocenti, rappresentate dal grano.

Quindi, Gesù rivela ai suoi servi, cioè alla Chiesa, che l’arbitrarietà assoluta, ovvero il diritto di decidere della vita e della morte nei confronti della persona umana, è un peccato grave perché determina, di fatto, la violazione del 5° Comandamento: “Non uccidere” (Es 20,13 ; Dt 5,17).

La Chiesache, non è solo un’istituzione umana, ma anche divina, non può, assolutamente compromettersi con il principio cinico: “il fine giustifica i mezzi”, ma più del Corano deve poter dire: “Chiunque uccide una persona innocente è come se avesse ucciso l’umanità intera”.

Essa è il Corpo mistico di Cristo, ossia, è per il Cristo quello che il corpo è per l’anima, per cui, avendo utilizzata la pena di morte, direttamente nei tempi passati e, indirettamente nei tempi attuali per mezzo della liceità morale del principio penale capitale, come istituzione umana, ha sporcato di sangue innocente le mani di questo Corpo.

Solo proteggendo la vita umana, incondizionatamente, dal suo concepimento alla morte naturale, che sopraggiunge solo per vecchiaia o malattie, essa  protegge, in modo assoluto, anche la vita umana innocente.

La Chiesaattuale, ad imitazione di quella originaria, deve proteggere tanto gli innocenti, quanto i colpevoli, tanto gli Abele, quanto i Caino, perciò, Dio stesso dichiara: “chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte! Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato” (Gn 4,15).  

Se il Dna, ha fornito al mondo la prova scientifica che, in un contesto sociale e religioso in cui vige la pena di morte, è impossibile proteggere, in modo assoluto, la vita umana innocente, la prova morale ci viene fornita da Gesù stesso: Egli, il giusto per eccellenza, non è stato, forse assassinato innocentemente, proprio con la pena di morte? E la sua morte cruenta non dimostra la veridicità del suo insegnamento, circa l’incapacità umana di poter distinguere, con certezza assoluta, l’innocente dal colpevole (Mt 13,24-30)?

L’unico modo, certo, per proteggere la vita umana “innocente” è quello di condannare sempre la pena di morte, cioè “l’arbitrio assoluto”, mediante il quale “l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e dare la morte” (Benedetto XVI).

In qualità di diacono affido questa riflessione e me stesso al papa, a cui chiedo, unitamente a tutti i membri del Popolo di Dio clero e fedeli laici che ne condividono il contenuto, di lavare la Chiesa dal sangue delle vittime innocenti uccise con la pena di morte, rinunciando al principio di liceità morale della pena di morte e promuovendo preghiere per esse.

 

7 ottobre 2009                                                                diacono Giuseppe Cavallaro

 

 

 

 

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Il principio di liceità morale della pena di morte, che la Chiesa Cattolica riconosce al potere pubblico ( Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. art. 2267 ), è contenuto nel “Deposito della fede” o nel “deposito del mondo” ?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che : “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, … il ricorso alla pena di morte, …” ( art. 2267 ). Questo “insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, per il quale la Chiesa riconosce al potere pubblico la legittimità morale di fare “ ricorso alla pena di morte”, si riferisce alla Tradizione Apostolica o alla Tradizione Ecclesiastica ?

Senza dubbio, la Tradizione Apostolicae la Tradizione Ecclesiasticahanno la stessa origine divina, ma la prima, designata dal Concilio Vaticano II, “ Sacra Tradizione “, costituisce, unitamente alla  Sacra Scrittura,  Il Deposito Della Fede, che è immutabile, mentre la seconda, come già affermava il Concilio Tridentino, non ha lo stesso valore della Tradizione Apostolica, ma il compito di custodire e trasmettere il Deposito della Fede.

La Sacra Tradizione,la Sacra Scritturae il Magistero della Chiesa scaturiscono dall’unica sorgente che è Dio, ma secondo il proprio modo ( Dei Verbum n° 10 ), ossia, ognuno esercita un proprio ufficio speciale :la Sacra Tradizionedi trasmettere la parola di Dio nella coscienza della Chiesa,la Sacra Scritturaregistrarla nei Libri Sacri e il Magistero interpretarla e annunziarla “ : insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso “ ( Dei Verbum n° 10 ).

Quando un Vescovo, legittimo successore degli Apostoli, viene ordinato e investito dei poteri di governo della Chiesa, gli viene chiesto, in presenza del popolo, circa il proposito di custodire la fede cattolica e di esercitare il proprio ministero : “ Vuoi custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata sempre e dovunque nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli “ ? Ed egli risponde : “ Si, lo voglio ”.

Il Magistero, quindi, non ha il compito di fare nuove rivelazioni e nemmeno aggiungere altro alla parola gia rivelata, ma di “ custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli”  e aiutare gli uomini a comprenderla e praticarla.

Stando cosi le cose, è da escludere che “L’insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, possa riferirsi  alla “Tradizione Apostolica”. Infatti, gli Apostoli, che hanno trasmesso alla Chiesa originaria :“ ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo “ ( Dei Verbum n° 7 ), non hanno, assolutamente, trasmesso la liceità del principio morale della pena di morte, al contrario, hanno trasmesso che : “ Ecclesia abhorret a sanguine “,la Chiesa aborrisce lo spargimento di sangue, come attestano gli scritti originari che riflettono, fedelmente, la “ Tradizione Apostolica “.

Quindi, il principio di liceità morale della pena di morte, a cui fa riferimento “ L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, non può essere contenuto nel “Deposito della fede “, perché non è “ secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli ”.

Di conseguenza, “L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, di cui parla il Catechismo, non essendo contenuto nel “deposito della fede”, che è immutabile, non può nemmeno appartenere alla“ Tradizione Ecclesiastica “, avendo essa come compito specifico quello di rispettare ciò che è immutabile e situarlo nel prolungamento della “Tradizione della Chiesa.

Se i Padri della Chiesa hanno condannato la pena di morte considerandola contraria  allo Spirito del Vangelo, è segno che questa dottrina, e non altre, essi hanno ricevuto, direttamente, dagli Apostoli, la medesima contenuta nel “ Deposito della fede “.

Tertulliano, ad esempio, afferma : “ Per quanto si riferisce al potere statale, il servo di Dio non deve emettere sentenze capitali “ ( De Idolatria  cap. 17 ).

Lattanzio : “ Quando Dio proibisce di uccidere si riferisce non solo all’assassinio a scopo di rapina, ma anche al fatto che non si deve uccidere anche in quei casi in cui è ritenuto giusto dagli uomini… l’uccisione in se stessa è proibita “  (Divinae Instituziones VI, 20).

Minucio Felice : “ Per noi non è giusto assistere all’uccisione di un uomo e neppure di ascoltarne il racconto; siamo così contrari all’effusione di sangue che non mangiamo neppure il sangue di animali uccisi “ ( Octavius, V )

I Canoni di Ipppolito, II,16, : “Colui che ha il potere della spada o il magistrato cittadino che porta la porpora ( giudice penale) rinuncino al loro ufficio o siano esclusi ( dalla catechesi ) “.

Concilio di Elvira, can. 56 : ordina che i magistrati duumviri, per quanto non debbano normalmente pronunciare sentenze capitali, non devono entrare in chiesa durante l’anno del loro mandato.

I Canoni del Sinodo Romano ai Vescovi della Gallia, essendo papa Damaso, dichiarano che non possono essere immuni da peccato i funzionari civili che “ hanno emesso condanne a morte, dato giudizi ingiusti ed esercitato la tortura giudiziaria ” (PL,  13, 1181 ss.  al cap. V.  n. 13)

Solo verso la fine del quarto secolo, la dottrina, relativa alla pena di morte, impartita da Gesù agli Apostoli e da questi ai Padri della Chiesa,inizia a fuoriuscire dal solco della “Tradizione Apostolica” e conformarsi alla prassi penale dell’Impero Romano, dal qualela Chiesaera stata inglobata.

Ecco, cosa scrive, verso la fine del quattrocento, S. Ambrogio al magistrato Studius: “ Non si trovano fuori della Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte, la maggior parte di essi però si tengono lontani dalla comunione eucaristica e sono per questo da lodarsi. Io so che la più gran parte dei pagani si ritengono onorati di aver riportato dalla loro amministrazione nelle province una scure non insanguinata : cosa debbono dunque fare i cristiani “ ?  Rm. 13 dà il potere allo stato di uccidere,  ma noi dobbiamo imitare Cristo nel suo perdono all’adultera : “ poiché può darsi che ci sia per il criminale una speranza di miglioramento, se non è battezzato può ricevere il perdono e se è battezzato la penitenza “ ( Ep. 25 ).

Quindi, il Vescovo Ambrogio, in sintonia con la “ Tradizione Apostolica “ loda : “ coloro…si tengono lontani dalla comunione eucaristica “ per il fatto di aver : “ creduto doveroso pronunciare una pena di morte “ . Essendo, però, la Chiesa diventata  parte integrante di un impero militare che, proprio perché tale, non può fare a meno della pena di morte, ne consegue che : “ non si trovano fuori dalla Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte “. Perciò, il Vescovo Ambrogio, consapevole  del pericolo che rappresenta questa promiscuità dottrinale, esorta i cristiani alla tolleranza e ad imitare sempre Cristo, il quale non permise, che venisse comminata, benché prevista dalla legge, la pena di morte, ad una donna colta in flagrante adulterio ( Gv 8,1-11 ).

Tuttavia, dall’interpretazione, secondo cui si dà per scontato, che Rm 13 dà il potere allo stato di uccidere, si intuisce che la Chiesa si era ormai incamminata verso l’abbandono della dottrina originaria e che, di li a poco, si sarebbe conformata a quella dell’Impero e del mondo, contravvenendo, in tal modo, proprio, ad uno dei più importanti insegnamenti di Paolo : “ Non conformatevi alla mentalità di questo mondo ( Rm 12,2 ).                                                                                                                                                                                                                 

Anche Innocenzo I ( papa dal 401-407 ) dà per scontato che: Dio ha concesso l’uso della spada al diritto penale e quindi la Chiesa non può riprovarlo. Inoltre, dalle sue parole si coglie anche un significativo scollamento con la dottrina originaria. Infatti, nel chiedersi : “ cosa pensare di coloro che dopo ricevuto il battesimo hanno avuto cariche pubbliche ed hanno esercitato la tortura o pronunciato sentenze capitali”, egli  risponde :  “ a questo proposito nulla ci è stato tramandato “ ( Ep. VI, cap. 3,n 7 ), e ciò, nonostante che, una ventina di anni prima, sotto papa Damaso, era stato celebrato il Sinodo Romano, che bollava come peccatori tutti coloro che avevano emesso condanne a morte.

In realtà, quando Paolo dichiara che l’autorità : ” …è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai

il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada …” ( Rm 13,4 ), non intende, come precisano gli esegeti,  esprimere un giudizio, circa la moralità o meno della pena di morte : Paolo allude all’autorità pubblica così come gli si presentava allora, con la spada.  Le sue parole rispecchiano, semplicemente, i costumi del tempo. Non mirano, in nessun modo, a legittimare il principio penale capitale e conferire al potere pubblico il diritto di esercitare la pena di morte, come, invece, si è voluto interpretare.

Non a caso, proprio nello stesso capitolo, appena qualche versetto più avanti, lo stesso Paolo sottolinea come il precetto divino : “ Amerai il prossimo tuo come te stesso “ sia riassunto dall’adempimento dei comandamenti e, tra questi, menziona appunto il quinto : “ Non uccidere “ ( Rm 13,8-10 ).

E il papa Nicolò I per convincere i Bulgari ad abbandonare il ricorso alla pena di morte, fa leva, proprio, all’esempio di Paolo : Dovete fare come l’Apostolo Paolo che da persecutore si converti e non solo desistette da ogni applicazione della pena di morte, ma si dette tutto alla salvezza delle anime ( Ep. 97, cap. XXV ).

 

In verità, non la Chiesacome istituzione divina ha riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, mala Chiesa come istituzione umana .

Infatti, il potere della morte non viene da Dio, che si configura come ilDio della vita ( Gv 14,6 ), ma dal suo nemico da : “ colui che della morte ha il potere e cioè il diavolo  “ ( Eb 2,14 ).

Perciò, la Chiesa, configurandosi al mondo e consentendo al potere pubblico di  “uccidere  legalmente “, ha permesso che la Leggedivina : “ Non uccidere “ venisse soppiantata  dalla legge umana “ si può uccidere “. 

Inoltre, l’aver riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, ha comportato un grave misconoscimento della sacralità e dell’inviolabilità assoluta della vita umana, che va  “dal suo concepimento alla fine naturale “ e ha indotto le coscienze umane al “ Relativismo morale “, secondo il quale la vita umana ha si un valore, ma un valore relativo, non assoluto, ossia, un valore diverso a seconda del punto di vista. 

Infine, autorizzando il potere pubblico a comminare la pena di morte, senza peraltro precisare per quali reati, essa, sia pure involontariamente, si è resa corresponsabile dell’uccisione volontaria di un numero incalcolabile di persone, avendo fornito alle coscienze, soprattutto, dei potenti e dei prepotenti, un validissimo alibi per uccidere “legalmente”.

La Chiesa Cattolicanata dalla Risurrezione di Cristo, il cui ha compito è di perpetuare nella storia la sua presenza gloriosa, deve abbandonare “ il deposito del mondo “ e tornare al “ deposito della fede “ : salvare dalla morte non solo gli innocenti ma anche i criminali, perché Cristo ci ha salvato dalla morte dell’anima ( papa Nicolò I, Ep. 97, cap.XXV ).

Solo il sincero desiderio di vedere una Chiesa, sempre più, regno visibile di Cristo in terra con a capo Pietro, mi ha spinto a formulare queste considerazioni che, incondizionatamente, affido, insieme al mio ministero, al giudizio e all’autorità del papa e, a cui chiedo, filialmente, di scacciare per sempre dalla Chiesa la morte, ministra del diavolo e di pregare, e far pregare, per le anime dell’immane numero di persone uccise, crudelmente, con la pena di morte, la medesima pena, con la quale fu assassinato Cristo, fondatore e capo della nostra Chiesa.

31 Maggio 2008                                                                        diacono Giuseppe Cavallaro

 

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Una Chiesa che cambia per cambiare il mondo.

Nella sua visita pastorale a Vienna, il papa riferendosi al problema  dell’aborto, ha affermato che : “ La credibilità del nostro discorso dipende anche da quel che la Chiesa stessa fa per venire in aiuto alle donne in difficoltà “.

Quindi, la soluzione al problema dell’aborto, dipende anche dal contributo chela Chiesaè in grado di offrire alle donne e alle famiglie in difficoltà.

E poiché è alle coscienze umane che, primariamente,la Chiesaindirizza  il suo contributo, ne deriva che la lotta all’aborto, come pure, all’eutanasia, al diritto al suicidio e alla pena di morte, dipende dalla loro formazione ad una concezione della  vita umana di valore assoluto e non relativo.

La vita umana deve essere difesa incondizionatamente perché incondizionato era, è e resta il comando di Dio : “ Non uccidere”, non è certo un caso se Egli ha conferito al quinto comandamento una natura negativa, la quale obbliga, indistintamente, tutti i credenti in Cristo, dal papa all’ultimo dei fedeli, all’osservanza letterale, senza alcuna eccezione di sorta.

Ma per riuscire a fissare nelle coscienze umane questo concetto fondamentale, occorre che la Chiesa, per prima, rinunci alla liceità morale del principio penale capitale, per il quale essa, appunto, conferisce alla vita umana un valore relativo e non assoluto ( N. C. art. n° 2267).

Essa non può limitarsi a dire che la vita umana è sacra e inviolabile, deve convincere che veramente la considera tale, dal suo concepimento alla morte naturale :  la morte naturale, infatti, non sopraggiunge con il ricorso alla pena di morte, ma solo naturalmente, ossia, per malattia e vecchiaia.

La lotta all’aborto, all’eutanasia, alla pena capitale e al diritto al suicidio, postula, quindi, un rinnovamento delle coscienze, che diventa però possibile, solo se convalidato dalla testimonianza di una Chiesa che si schiera “incondizionatamente” a difesa della vita umana : come facevala Chiesa dei primi secoli.

Sela Chiesa, con la sua enorme influenza, attribuisce alla vita umana un valore relativo, in rapporto alla pena di morte, va da se, che le coscienze umane si sentano autorizzate ad attribuire alla vita umana un valore relativo, in rapporto all’aborto, all’eutanasia, alla pena capitale e al libero suicidio .

Il diritto alla vita ha, inoltre, ricordato il papa a Vienna è : “ Il diritto umano fondamentale, il presupposto per tutti gli altri diritti “, per cui essendo il diritto alla vita, direttamente proporzionale alla salvaguardia di tutti gli altri diritti umani, ne deriva che, quanto più si radica nelle coscienze un rispetto assoluto per la vita umana, tanto più si radica nelle coscienze un rispetto per tutti gli altri fondamentali diritti umani.

29 Settembre 2007                              diacono Giuseppe Cavallaro                                                                          

 

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I Vescovi, in qualità di legittimi successori degli Apostoli, dovrebbero imitarli anche nel difendere la vita umana in modo assoluto e non relativo, rinunciando al principio di liceità morale della pena di morte ( N. C. n° 2267 ).

Gesù insegna che la convivenza fra il bene e il male è una condizione naturale che i suoi discepoli devono tollerare, pazientemente, fino al giorno del giudizio finale, in cui Egli stesso giudicherà, imparzialmente ogni uomo e assegnerà a ciascuno il posto che si sarà meritato, in funzione del bene o del male che avrà, liberamente, compiuto.

Nella parabola evangelica del grano e della zizzania, in cui : “Il campo è il mondo. Il grano sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno” (Mt 13, 38), “I servi andarono dal padrone e gli dissero : Padrone, non hai  seminato del buon grano nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania ? Egli rispose loro : Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero : Vuoi che andiamo ad estirparla ? No, rispose, perché non succeda che estirpandola, con essa sradichiate anche il grano” (Mt 13,27-29).

E una richiesta analoga, cioè, caratterizzata dall’intolleranza e dal legalismo religioso, la troviamo anche in Luca. Poiché un villaggio della Samaria aveva rifiutato a Gesù l’ospitalità  : “I discepoli Giacomo e Giovanni dissero a Gesù : Signore vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi ? Ma Gesù si voltò e li rimproverò” (Lc 9,54-55).

Quindi, la Scritturasi rivela contraria a che “I servi”, i quali rappresentano gli Apostoli, non solo sradichino la zizzania dal campo, ossia, che si oppongano al male e ai malvagi ricorrendo alla loro uccisione , ma perfino che elevino a Dio preghiere di natura vendicativa, infatti : “ Gesù si voltò e li rimproverò “ (Lc 9,54).

E l’Apocalisse rincara la dose. Dio oltre che rifiutare di esaudire la preghiera dei suoi martiri, i quali vorrebbero affrettare il giudizio finale, rivela implicitamente, che i figli del regno devono mettere in conto anche la possibilità di poter morire per mano dei figli delle tenebre : “Coloro che erano stati uccisi a causa della parola di Dio e della testimonianza che avevano resa ,  gridarono a gran voce : Fino a quando , Dio, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra ? Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu risposto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro  fratelli che dovevano essere uccisi come loro” (Ap 6,9-11).

Sicché, il Vangelo riconosce ai figli del regno una sola arma legittima per combattere i figli del maligno, la mitezza : “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 44).

La medesima che Gesù ha testimoniato, perfino dalla croce : “Padre perdonali perché non sanno quel che fanno” (Lc 23,34). E il primo papa ci ricorda che Gesù : “Oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia” (1 Pt 2,23).    

Le espressioni degli Apostoli riflettono una mentalità ancora troppo legata all’Antico Testamento : “Sterminerò ogni mattina tutti gli empi del paese. Sradicherò dalla città del Signore quanti operano il male” ( Sl 101,8 ), mentre la nuova economia, instaurata da Cristo esclude, a priori, ogni forma di intolleranza e violenza nei confronti della persona umana, sia essa figlia del regno che figlia del maligno.

Non vi è dubbio : Il Nuovo Testamento impone ai  figli del regno la coesistenza con i figli del maligno anche quando questi violano, gravemente, la legge umana e divina.

Perciò, il “No” proferito da Gesù equivale ad una proibizione assoluta di sradicare la zizzania umana dalla faccia della terra.

E, il suo “No”, non riguarda solo gli Apostoli ma anche i Vescovi  perché :  “Gli Apostoli, poi affinché l’ Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i Vescovi” (Dei Verbum n° 7).

Pertanto, come gli Apostoli e i loro diretti successori, fino al quarto secolo, hanno scrupolosamente osservato il comando di Gesù di non cedere mai  alla tentazione di lottare il male ricorrendo alla pena di morte come strumento di sradicamento sociale e morale della zizzania umana, come attesta la Tradizione originaria, anche i Vescovi ordinati successivamente, proprio perché legittimi successori degli Apostoli, dovrebbero conformarsi alla dottrina originaria  considerandola immutabile e inserirla nel prolungamento della Tradizione Cattolica.

Gesù, facendo seguire al suo “No” la motivazione : “Perché c’è pericolo che estirpandola sradichiate insieme ad essa anche il grano” ha voluto evidenziare come l’arbitrarietà assoluta comporti, inevitabilmente, l’uccisione di persone innocenti.

Ed è, appunto, ciò che si è verificato, come attesta la storia, a testimonianza della veridicità delle sue parole. Infatti, chi può fissare il numero delle persone innocenti che, direttamente o indirettamente, sono state sradicate, ossia, uccise dalla Chiesa?

Inoltre, Egli avendo precisato che:  Personalmente, e alla fine dei tempi, avrebbe mandato i suoi  angeli a separare gli operatori di iniquità dagli uomini giusti per punire i primi e premiare i secondi (Mt 13,41-43), ogni sradicamento di zizzania umana, effettuata dall’uomo anticipatamente, si configura come una intollerabile usurpazione dei diritti di Dio.

Affido questa riflessione e il mio ministero all’autorità del papa, al quale chiedo, filialmente, di indire una celebrazione liturgica annuale in memoria e in suffragio di tutte le persone sradicate dalla faccia della terra, con la pena di morte, perché considerate zizzania umana.

 

13 Maggio 2007                                                                  diac. Giuseppe Cavallaro    

 

 

 

 

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