Il principio di liceità morale della pena di morte, che la Chiesa Cattolica riconosce al potere pubblico ( Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. art. 2267 ), è contenuto nel “Deposito della fede” o nel “deposito del mondo” ?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che : “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, … il ricorso alla pena di morte, …” ( art. 2267 ). Questo “insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, per il quale la Chiesa riconosce al potere pubblico la legittimità morale di fare “ ricorso alla pena di morte”, si riferisce alla Tradizione Apostolica o alla Tradizione Ecclesiastica ?

Senza dubbio, la Tradizione Apostolicae la Tradizione Ecclesiasticahanno la stessa origine divina, ma la prima, designata dal Concilio Vaticano II, “ Sacra Tradizione “, costituisce, unitamente alla  Sacra Scrittura,  Il Deposito Della Fede, che è immutabile, mentre la seconda, come già affermava il Concilio Tridentino, non ha lo stesso valore della Tradizione Apostolica, ma il compito di custodire e trasmettere il Deposito della Fede.

La Sacra Tradizione,la Sacra Scritturae il Magistero della Chiesa scaturiscono dall’unica sorgente che è Dio, ma secondo il proprio modo ( Dei Verbum n° 10 ), ossia, ognuno esercita un proprio ufficio speciale :la Sacra Tradizionedi trasmettere la parola di Dio nella coscienza della Chiesa,la Sacra Scritturaregistrarla nei Libri Sacri e il Magistero interpretarla e annunziarla “ : insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso “ ( Dei Verbum n° 10 ).

Quando un Vescovo, legittimo successore degli Apostoli, viene ordinato e investito dei poteri di governo della Chiesa, gli viene chiesto, in presenza del popolo, circa il proposito di custodire la fede cattolica e di esercitare il proprio ministero : “ Vuoi custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata sempre e dovunque nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli “ ? Ed egli risponde : “ Si, lo voglio ”.

Il Magistero, quindi, non ha il compito di fare nuove rivelazioni e nemmeno aggiungere altro alla parola gia rivelata, ma di “ custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli”  e aiutare gli uomini a comprenderla e praticarla.

Stando cosi le cose, è da escludere che “L’insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, possa riferirsi  alla “Tradizione Apostolica”. Infatti, gli Apostoli, che hanno trasmesso alla Chiesa originaria :“ ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo “ ( Dei Verbum n° 7 ), non hanno, assolutamente, trasmesso la liceità del principio morale della pena di morte, al contrario, hanno trasmesso che : “ Ecclesia abhorret a sanguine “,la Chiesa aborrisce lo spargimento di sangue, come attestano gli scritti originari che riflettono, fedelmente, la “ Tradizione Apostolica “.

Quindi, il principio di liceità morale della pena di morte, a cui fa riferimento “ L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, non può essere contenuto nel “Deposito della fede “, perché non è “ secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli ”.

Di conseguenza, “L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, di cui parla il Catechismo, non essendo contenuto nel “deposito della fede”, che è immutabile, non può nemmeno appartenere alla“ Tradizione Ecclesiastica “, avendo essa come compito specifico quello di rispettare ciò che è immutabile e situarlo nel prolungamento della “Tradizione della Chiesa.

Se i Padri della Chiesa hanno condannato la pena di morte considerandola contraria  allo Spirito del Vangelo, è segno che questa dottrina, e non altre, essi hanno ricevuto, direttamente, dagli Apostoli, la medesima contenuta nel “ Deposito della fede “.

Tertulliano, ad esempio, afferma : “ Per quanto si riferisce al potere statale, il servo di Dio non deve emettere sentenze capitali “ ( De Idolatria  cap. 17 ).

Lattanzio : “ Quando Dio proibisce di uccidere si riferisce non solo all’assassinio a scopo di rapina, ma anche al fatto che non si deve uccidere anche in quei casi in cui è ritenuto giusto dagli uomini… l’uccisione in se stessa è proibita “  (Divinae Instituziones VI, 20).

Minucio Felice : “ Per noi non è giusto assistere all’uccisione di un uomo e neppure di ascoltarne il racconto; siamo così contrari all’effusione di sangue che non mangiamo neppure il sangue di animali uccisi “ ( Octavius, V )

I Canoni di Ipppolito, II,16, : “Colui che ha il potere della spada o il magistrato cittadino che porta la porpora ( giudice penale) rinuncino al loro ufficio o siano esclusi ( dalla catechesi ) “.

Concilio di Elvira, can. 56 : ordina che i magistrati duumviri, per quanto non debbano normalmente pronunciare sentenze capitali, non devono entrare in chiesa durante l’anno del loro mandato.

I Canoni del Sinodo Romano ai Vescovi della Gallia, essendo papa Damaso, dichiarano che non possono essere immuni da peccato i funzionari civili che “ hanno emesso condanne a morte, dato giudizi ingiusti ed esercitato la tortura giudiziaria ” (PL,  13, 1181 ss.  al cap. V.  n. 13)

Solo verso la fine del quarto secolo, la dottrina, relativa alla pena di morte, impartita da Gesù agli Apostoli e da questi ai Padri della Chiesa,inizia a fuoriuscire dal solco della “Tradizione Apostolica” e conformarsi alla prassi penale dell’Impero Romano, dal qualela Chiesaera stata inglobata.

Ecco, cosa scrive, verso la fine del quattrocento, S. Ambrogio al magistrato Studius: “ Non si trovano fuori della Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte, la maggior parte di essi però si tengono lontani dalla comunione eucaristica e sono per questo da lodarsi. Io so che la più gran parte dei pagani si ritengono onorati di aver riportato dalla loro amministrazione nelle province una scure non insanguinata : cosa debbono dunque fare i cristiani “ ?  Rm. 13 dà il potere allo stato di uccidere,  ma noi dobbiamo imitare Cristo nel suo perdono all’adultera : “ poiché può darsi che ci sia per il criminale una speranza di miglioramento, se non è battezzato può ricevere il perdono e se è battezzato la penitenza “ ( Ep. 25 ).

Quindi, il Vescovo Ambrogio, in sintonia con la “ Tradizione Apostolica “ loda : “ coloro…si tengono lontani dalla comunione eucaristica “ per il fatto di aver : “ creduto doveroso pronunciare una pena di morte “ . Essendo, però, la Chiesa diventata  parte integrante di un impero militare che, proprio perché tale, non può fare a meno della pena di morte, ne consegue che : “ non si trovano fuori dalla Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte “. Perciò, il Vescovo Ambrogio, consapevole  del pericolo che rappresenta questa promiscuità dottrinale, esorta i cristiani alla tolleranza e ad imitare sempre Cristo, il quale non permise, che venisse comminata, benché prevista dalla legge, la pena di morte, ad una donna colta in flagrante adulterio ( Gv 8,1-11 ).

Tuttavia, dall’interpretazione, secondo cui si dà per scontato, che Rm 13 dà il potere allo stato di uccidere, si intuisce che la Chiesa si era ormai incamminata verso l’abbandono della dottrina originaria e che, di li a poco, si sarebbe conformata a quella dell’Impero e del mondo, contravvenendo, in tal modo, proprio, ad uno dei più importanti insegnamenti di Paolo : “ Non conformatevi alla mentalità di questo mondo ( Rm 12,2 ).                                                                                                                                                                                                                 

Anche Innocenzo I ( papa dal 401-407 ) dà per scontato che: Dio ha concesso l’uso della spada al diritto penale e quindi la Chiesa non può riprovarlo. Inoltre, dalle sue parole si coglie anche un significativo scollamento con la dottrina originaria. Infatti, nel chiedersi : “ cosa pensare di coloro che dopo ricevuto il battesimo hanno avuto cariche pubbliche ed hanno esercitato la tortura o pronunciato sentenze capitali”, egli  risponde :  “ a questo proposito nulla ci è stato tramandato “ ( Ep. VI, cap. 3,n 7 ), e ciò, nonostante che, una ventina di anni prima, sotto papa Damaso, era stato celebrato il Sinodo Romano, che bollava come peccatori tutti coloro che avevano emesso condanne a morte.

In realtà, quando Paolo dichiara che l’autorità : ” …è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai

il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada …” ( Rm 13,4 ), non intende, come precisano gli esegeti,  esprimere un giudizio, circa la moralità o meno della pena di morte : Paolo allude all’autorità pubblica così come gli si presentava allora, con la spada.  Le sue parole rispecchiano, semplicemente, i costumi del tempo. Non mirano, in nessun modo, a legittimare il principio penale capitale e conferire al potere pubblico il diritto di esercitare la pena di morte, come, invece, si è voluto interpretare.

Non a caso, proprio nello stesso capitolo, appena qualche versetto più avanti, lo stesso Paolo sottolinea come il precetto divino : “ Amerai il prossimo tuo come te stesso “ sia riassunto dall’adempimento dei comandamenti e, tra questi, menziona appunto il quinto : “ Non uccidere “ ( Rm 13,8-10 ).

E il papa Nicolò I per convincere i Bulgari ad abbandonare il ricorso alla pena di morte, fa leva, proprio, all’esempio di Paolo : Dovete fare come l’Apostolo Paolo che da persecutore si converti e non solo desistette da ogni applicazione della pena di morte, ma si dette tutto alla salvezza delle anime ( Ep. 97, cap. XXV ).

 

In verità, non la Chiesacome istituzione divina ha riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, mala Chiesa come istituzione umana .

Infatti, il potere della morte non viene da Dio, che si configura come ilDio della vita ( Gv 14,6 ), ma dal suo nemico da : “ colui che della morte ha il potere e cioè il diavolo  “ ( Eb 2,14 ).

Perciò, la Chiesa, configurandosi al mondo e consentendo al potere pubblico di  “uccidere  legalmente “, ha permesso che la Leggedivina : “ Non uccidere “ venisse soppiantata  dalla legge umana “ si può uccidere “. 

Inoltre, l’aver riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, ha comportato un grave misconoscimento della sacralità e dell’inviolabilità assoluta della vita umana, che va  “dal suo concepimento alla fine naturale “ e ha indotto le coscienze umane al “ Relativismo morale “, secondo il quale la vita umana ha si un valore, ma un valore relativo, non assoluto, ossia, un valore diverso a seconda del punto di vista. 

Infine, autorizzando il potere pubblico a comminare la pena di morte, senza peraltro precisare per quali reati, essa, sia pure involontariamente, si è resa corresponsabile dell’uccisione volontaria di un numero incalcolabile di persone, avendo fornito alle coscienze, soprattutto, dei potenti e dei prepotenti, un validissimo alibi per uccidere “legalmente”.

La Chiesa Cattolicanata dalla Risurrezione di Cristo, il cui ha compito è di perpetuare nella storia la sua presenza gloriosa, deve abbandonare “ il deposito del mondo “ e tornare al “ deposito della fede “ : salvare dalla morte non solo gli innocenti ma anche i criminali, perché Cristo ci ha salvato dalla morte dell’anima ( papa Nicolò I, Ep. 97, cap.XXV ).

Solo il sincero desiderio di vedere una Chiesa, sempre più, regno visibile di Cristo in terra con a capo Pietro, mi ha spinto a formulare queste considerazioni che, incondizionatamente, affido, insieme al mio ministero, al giudizio e all’autorità del papa e, a cui chiedo, filialmente, di scacciare per sempre dalla Chiesa la morte, ministra del diavolo e di pregare, e far pregare, per le anime dell’immane numero di persone uccise, crudelmente, con la pena di morte, la medesima pena, con la quale fu assassinato Cristo, fondatore e capo della nostra Chiesa.

31 Maggio 2008                                                                        diacono Giuseppe Cavallaro

 

www.associazionelavita.it                                                             gius-cavallaro@libero.it

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